domenica 31 dicembre 2017

272. AUGURI


Allora, il 2018 sarà un anno qualunque, del resto cosa posso pretendere da un anno pari che non ha neanche le palle di essere bisestile? Considerata la mancanza di personalità dei numeri pari, sempre così accondiscendenti, divisibili, equi e solidali, e tenuto conto che gli anni dispari sono sempre stati forieri di gioie, come quelli in cui sono nate le mie figlie, Woody Allen, mio padre, Italo Calvino, quello del primo scudetto del Napoli, del mio primo contratto di lavoro a tempo indeterminato, quelli in cui sono state incise canzoni del calibro di Stairway to heaven, La costruzione di un amore, La guerra di Piero, non nutro grandi aspettative verso il nuovo anno.
Il 2017 è partito in sordina, dj Fabo è andato a morire fuori dall'Italia, ma poi la legge sul testamento biologico è stata approvata (“Norme in materia di consenso informato e di dichiarazioni di volontà anticipate nei trattamenti sanitari”), la valanga su Rigopiano ed il terremoto di Casamicciola annientano, donne ed uomini muoiono, noncuranti di un insopportabile neologismo che vorrebbe distinguere un omicidio alla pari da quello verso deboli esseri di genere femminile. Paure di un nazismo latente, ius soli e camere sciolte, mentre la scimmia nuda balla, sulle bufale del web. E alla fine, ho smesso di aspettare, ho trovato l'altra metà della mela, l'altra ala per volare.
Che il nuovo anno vi porti ciò che meritate, cari amici del blog, e se vi sembra una minaccia, è perché avete la coda di paglia.

P.S. Comunque, detto tra noi, mi rivolgo a te 2018, stupiscimi, distinguiti dai banalissimi numeri pari, fai qualcosa, dici qualcosa di sinistra ... ma questa è un'altra storia.


sabato 23 dicembre 2017

271. IL MIO NATALE TRASH

Me piace 'o presepe, sì, me piace assai. 
Mi piacciono i pastori di terracotta con i vestiti di stoffa, appoggiati sul paesello di sughero e legno, quelli con la testa incollata alla men peggio, con la punta del dito spezzata, con la cesta di verdure indecifrabili, dai colori improbabili, provenienza di una lontana terra dei fuochi. Immancabili Benino sulle scale, lo zampognaro davanti alla grotta, il pizzaiolo davanti al forno (con la sua arte patrimonio dell'umanità), il ruscelletto ravvivato da un motorino che anno dopo anno stenta a funzionare e fa un rumore tale che le pecorelle disposte accanto nell'atto di abbeverarsi, restano immobili. Sul presepe amo una sola luce, quella della grotta.
Mi piace anche l'albero, e mi piace con tante lucine e tanti addobbi, ma rigorosamente bianchi, rossi e oro, che ogni anno si arricchisce di un nuovo soggetto, un nuovo ricordo. Mi piace l'albero pacchiano, ma con stile. Mi piace la casa invasa dalle candele rosse, la stella di Natale e la porta d'ingresso incorniciata di verde e rosso. 
Mi piace ascoltare So this is Christmas, e commuovermi puntualmente, anche se ad interpretarla è un coro di bambini distratto e stonato, ma "war is over" resta sempre la frase più bella. Mi piace guardare Natale in casa Cupiello, preparare gli antipasti e sapere intonare al momento esatto,  anche girata di spalle al televisore, "tu scendi dalle stelle, Concetta bella, ed io t'aggio purtato questo ombrella". Mi piace perdere ore a fare gli struffoli, con quelle palline che non finiscono mai, per poi ammirarli nel piatto tondo, lucidi di miele, con i corallini di zucchero colorati ed un profumo dolce. Ma confesso di preferire il profumo della pizza di scarole, che pure amo preparare, non solo a Natale. Mi piace il baccalà fritto, l'insalata di rinforzo ed i frusci frusci, frittelle rustiche di tradizione Picone. Mi piace mettere lo smalto rosso, indossare almeno un capo di abbigliamento rosso e scoprire il 23 pomeriggio dopo aver acquistato negli ultimi 20 giorni più di 30 regali, che mancano quelli alle persone più importanti.  Amo il caos della mia famiglia, le arrabbiature da stress e da nostalgia, le risate improvvise di complicità e tutta l'enfasi che caratterizza questi ultimi giorni dell'anno.
Vi auguro un felice Natale, con tutta la banalità ed il trash che rassicurano e ci fanno stare bene, compreso The family man.


venerdì 8 dicembre 2017

270. LEGGERE IN METRO

<<Questa è tua!>>
L’uomo sopra i cinquanta guarda prima la borsa da lavoro che porta nella mano destra, poi solleva il mento verso chi gli sta di fronte e lo guarda, attendendo la sua reazione.
Pochi secondi di silenzio e l’altro, un po’ interdetto gli risponde:  <<Sì, effettivamente è uguale alla mia>>
<<No no, è proprio la tua borsa>>, incalza sorridendo il primo.
<<Ah!>> esclama distrattamente l’altro.
<<Ti spiego come è andata>> Le labbra carnose consentivano a malapena di decifrare le parole, ma messe a corredo di quel viso grosso, sotto un paio di narici larghe, erano perfette calamite per i miei occhi. Mi sembrava che il possessore della borsa incriminata fosse un uomo buono, troppo impacciato, uno di quelli che credono di trovarsi nel corpo sbagliato, nell’età sbagliata. Fisico abbastanza asciutto, ma viso gonfio e mani doppie, da contadino, sembravano racchiudere un animo sensibile, un’ingenuità quasi adolescenziale.
<<Ho trovato questa borsa in ufficio ieri ed ho chiesto ai colleghi presenti nella stanza se fosse di qualcuno di loro, ma nessuno ne ha reclamato la titolarità, ed io, incredulo, ho cominciato a valutarne la capienza e le condizioni estetiche. Poi qualcuno ha aggiunto: “Credo sia di Alfonso, ma te la puoi prendere, l’ha abbandonata qua da mesi.” Ed io ci ho messo dentro le mie carte e me la so portata a casa. Hai capito Alfo’?>>
<<Sì sì, effettivamente l’ho lasciata nell'armadietto mesi fa, t’a puo' piglia', non uso più queste borse, vedi?>> E mentre lo dice, con il mento indica il borsello che porta a tracolla.
Alfonso ha un viso tondo, lineamenti delicati, un ventre prominente, mani non troppo grandi ed effettivamente, a guardarli bene adesso, sembra che la borsa stia meglio nella manona dell’uomo con i labbroni, piuttosto che appesa al braccio di Alfonso.
Alla fine la borsa e la mano si erano ritrovate, erano destinate a stare insieme.
Così, contenta del lieto fine, mi sono soffermata su altre facce, altri corpi, del resto il viaggio in metro sarebbe durato ancora una decina di minuti …
Altra scena, altri personaggi, questa volta una coppia male assortita: lei seduta e pigra, capelli sporchi, scontenta e polemica, lui in piedi di fronte, mani ed unghie pulite, viso dolce e sognatore. Li ho abbondonati subito, mi mettevano tristezza, avrei ascoltato un copione noioso e prevedibile.
Alla fine ha vinto lui, un vecchietto sopra i settanta, giubbino economico e malandato, ma pulito, testa bassa e vergognosa, ha estratto due accendini dalla tasca destra e li ha mostrati alla donna che gli stava accanto, le ha detto: <<Datemi qualcosa a piacere, non posso tornare a casa senza spesa>>. La donna lo ha ignorato e lui si è rimesso in tasca gli accendini, ancora più in soggezione, con grande imbarazzo ha chinato ancora più il capo su se stesso. Ho cominciato a fissare quel volto rugoso e stanco, quel corpo accartocciato dagli anni e dalla vergogna ed ho cominciato a sperare  che mi guardasse, che i suoi occhi incrociassero i miei, che la retta della bocca tornasse ad essere una curva, ed è accaduto. Proprio prima che arrivasse la mia fermata, ha alzato lo sguardo verso di me ed io ho piegato leggermente la testa in segno di approvazione e gli ho detto: <<Me li dia tutti e due>>, abbiamo entrambi allungato il braccio con l’oggetto di scambio, gli ho poggiato le monete nel palmo della mano ed ho portato via gli accendini. Mi ha guardato con gratitudine e commozione. Poi si sono aperte le porte e sono scesa dalla metro, pensando a ciò che avrebbero portato a casa quelle mani.
Le mani, quanto dicono le mani, più di ogni altra parte del corpo, più degli occhi, più della bocca, le mani.

Proprio in questi giorni mia figlia sta leggendo Firmino di Sam Savage, e c’è una parte nel quarto capitolo dove si cita Gall, il medico tedesco che alla fine del ‘700 si appassionò alla fisiognomia, ovvero la disciplina che pretende di dedurre i caratteri psicologici e morali di una persona dal suo spetto fisico e soprattutto dai lineamenti e dalle espressioni del volto.

Che ci sia una forte relazione tra le due sfere è evidente, l'ho sempre creduto, ma non è certo corretto utilizzare una sola chiave di lettura, credere che la relazione sia diretta ed univoca.
Così nei viaggi preferisco leggere i corpi piuttosto che i libri, li trovo più interessanti, più sinceri.

Quindi, non abbiate timore, perché se è vero che il riso abbonda sulla bocca degli stolti, non è che quelli tristi lo siano di meno. La leggerezza, l’ironia, sono proprie delle persone molto intelligenti, imparate a ridere che a piangere so bravi tutti.




domenica 12 novembre 2017

269. ADDIO FOTTUTI MUSI VERDI, AVANTI IL PROSSIMO


Perché? No dico perché lo avete fatto? Cari The Jakal, siete divertenti, intelligenti, pure carini (facendo media con Ciro che è un bel ragazzo), ma come vi è saltato in mente di fare un film?
La risposta probabilmente è semplice, il motivo non è legato esclusivamente alla brama di successo, alla ormai diffusa necessità di appagare velleità artistiche più o meno giustificate, la vera ragione è più banale, e forse più comprensibile: fare soldi!
E siete intelligenti anche in questo, perché di soldi ce n'è bisogno, per vivere bene, per poter far vivere bene chi amiamo, quindi alla fine se state solo mirando al guadagno economico, vi capisco, ma credo siate stati poco lungimiranti. Eh sì, potrei sbagliarmi, ma credo che l'idea di battere il ferro finché è caldo non sia poi sempre valida, sarebbe stato forse più opportuno attendere ancora un po' e sfornare un prodotto di maggiore qualità. Sebbene io sia una vostra fan, non avevo alcuna intenzione di spendere 8 Euro otto, per andare a guardare il vostro film.
Ieri sera, però, sono andata al cinema con mia figlia per vedere Paddington 2, ma il cinema vicino casa ha fatto una scelta sbagliata, come del resto è avvenuto in passato, ma questa è un'altra storia. Insomma, ha destinato la sala piccola,  strutturata a mo' di cabina passeggeri aerea, il film per bambini Paddington 2, ed alla sala grande il vostro film "Addio fottuti musi verdi". La poco oculata attribuzione delle sale ha costretto molti di noi ritardatari a dirottare sul film dei miei concittadini, infondo si sa, come più tardi avremmo capito guardando il film, da Londra a Napoli è un attimo. Alla fine la sala, riempita solo per metà, era pronta a ridere con voi, perché siete bravi e mai volgari, siete quelli che si definiscono "bravi ragazzi", e qui a Napoli facciamo il tifo per voi, come per tutti quelli che portano in giro il concetto più puro ed onesto di napoletanità. E devo ammettere che qualche risata ce l'avete pure strappata, perché ci sono delle belle idee in questo film, ma i tempi, i dialoghi, non sono sempre azzeccati. Mi è piaciuta la chicca dei Savastano (che mia figlia decenne non ha colto), l'ironia sullo snobismo tutto partenopeo nei confronti di Gigi D'Alessio e l'immagine di una città ricca di contraddizioni. Ma non mi è bastato. Certo, ho pensato, e voi stessi prima di me avrete pensato: escono tanti film spazzatura per Natale, ci infiliamo pure questo, che almeno si salva per assenza di volgarità, e perché è fatto da "ggiovani", e così qualcosa di soldi arriva pure a noi.
Va bene, comprensibile, ma voi siete altra cosa, voi avreste dovuto impegnarvi un po' di più, aspettare un po' di più e tirare fuori un prodotto migliore, perché voi valete.
Insomma, a me il film non è piaciuto, ma spero sia stata solo una prova. Adesso aspetto il prossimo. Forza ragazzi.


venerdì 10 novembre 2017

268. VIVO COME TE


Ho pensato che è un po' che non pubblico un post su questo blog, che non condivido qui le mie sensazioni, le mie riflessioni, i miei sogni. Sulla pagina di Facebook alterno poesia ad ironia, pensieri filosofici a confortante quotidianità, con leggerezza, come provo a fare nella vita vera. Ah, la vita vera!
Anche Facebook è parte della vita vera, con un linguaggio apparentemente ingannevole, ma in realtà più semplice e decifrabile di altri.
Su Facebook c'è tutto: l'ostentazione, la paura, la rabbia, l'allegria, l'invidia, l'ironia, la solidarietà, la contestazione e le lusinghe, un mare di lusinghe, Facebook è il trionfo della lusinga, è territorio ideale per gli sciacalli dei sentimenti. Del resto l'opportunista lo sa bene che per ottenere il favore di qualcuno deve innanzitutto appagarne il narcisismo.
Quindi qui, sul mio blog, dove ho deciso di non inserire il tasto "mi piace", oggi ho deciso di parlare della banale, volgare ed inevitabile routine quotidiana, senza pretese.
Quante brutte parole! Banale, volgare, routine, tutte brutte parole, tutti termini che si associano con disprezzo ai prevedibili gesti quotidiani. 
Oggi racconto il lato bistrattato della vita vera, quello che non lascia spazio alle elucubrazioni, ai racconti nel cassetto, quello dei veri eroi.
I giorni si assomigliano, ma ogni inizio è carico di aspettative. La mattina a casa mia si urla tanto, è una guerra assonnata tra una madre e le sue figlie, tra dolci colazioni e zaini da riempire, vestiti da abbinare e merende da preparare. Gli spostamenti in auto sono poi sempre vere e proprie prove di abilità, una sorta di mini Camel Trophy, ci si muove tra piloti arrabbiati e volti preoccupati, ansie da impiegato che deve timbrare il cartellino, professionisti che devono rispettare appuntamenti, genitori che accompagnano figli a scuola, e pacata rassegnazione di chi accoglie tutto come un soldato. Il lavoro è un insieme di azioni metodiche e rari guizzi di genio, a volte realizzabili, altre no. In ufficio abbiamo dei gruppi d'acquisto favolosi, ci migliorano la vita, ottimizziamo i tempi, così da non 'sprecare' troppe ore nella spesa. Adoro le mie colleghe che mentre controllanno la correttezza di una fattura, chiamano il pediatra, leggono le comunicazioni scuola famiglia, inconsapevoli manager, operaie professionali. E alla fine ci sentiamo anche in colpa se quando torniamo a casa stanche, cariche di buste della spesa e di ansie, ai figli che ci chiedono di ripetere le equazioni di secondo grado e la prima guerra mondiale, non rivolgiamo un sorriso. 
Il mio eroe è il mio compagno,  che lavora per fare stare bene le persone che ama, ed anche quelle che non ama. Che ha sempre un'attenzione per tutti, che rispetta tutti. E lo fa mentre prende la metro, mentre è sul luogo di lavoro, mentre cucina, mentre fa la spesa, mentre legge un giornale, fuma, cammina per strada e pure mentre lava e stira le sue camicie.
È un poeta, e non perché sa esprimere in versi i sentimenti, ma perché poetico è il suo modo di vivere, con la testa, le mani, le gambe, la pancia, ed anche con le parole, ma soprattutto con verità. 






lunedì 9 ottobre 2017

267. FURORE


Aveva coltivato flox, forsizia e calendula, nel suo giardino regnava la pace, e alla fine era giunto lui, l'attesa non era stata vana.
Si erano riconosciuti subito, senza tante parole, leggendosi negli occhi.
Dopo qualche settimana, durante una breve assenza dell'amato amante, gli aveva scritto alcune righe ...
Mi hai così riempita in questi giorni che avrei voluto registrare tutto, scrivere ogni parola che mi hai detto, conservare ogni messaggio, fotografare i tuoi occhi mentre mi parlavi, mentre facevamo l'amore, per poter rivivere tutto, quando accanto a me non ci vorrai più stare. Perché arriverà un giorno in cui sarà tutto finito: non avrai più voglia di guardarmi negli occhi ed io non saprò più come muovermi, dove andare. Mi chiedo perché ho questa insopportabile sensazione, perché non riesco a godere del momento. Perché la paura si insinua subdola tra le tue telefonate ed i tuoi abbracci, tra un nome di donna ed un'assoluzine dal peccato. Perché quando usi parole di indifferenza nei confronti di chi già c'è stata, ho davanti la mia immagine un po' invecchiata che riceve la stessa noncuranza? Perchè quando ti mostri geloso credo che il tuo sentimento sia fasullo? Sembriamo condannati a rivivere le stesse scene, a recitare lo stesso copione, come in una replica teatrale. Tutto è stato insopportabilmente, stupidamente già detto, già fatto. E tutto è inevitabile. Ogni timore, ogni sconfitta, ogni fine.
E nel vano tentativo di mostrarci padroni di noi stessi, coraggiosi, abili giocolieri del nostro tempo, riusciamo ad evitare solo il buono, solo la bellezza, che pure ogni volta finisce per sorprenderci, così nuova, così diversa, viva di intensità e calore, di forma e sapore. E ci stupisce quanto siamo incapaci di fermarla questa bellezza.
So che sarà dura combattere con me, con te, con il passato, con le paure, con la tristezza e la malinconia, ma il modo migliore per affrontare ciò che spaventa è sicuramente l'accoglienza. E allora facciamoci invadere dai sentimenti cattivi, dalla noia e dalla paura dell'abbandono, perché solo così riusciremo ad amarci davvero, accogliendo ogni debolezza. Tra qualche giorno tornerai più disarmato e sereno, e percorrerai il sentiero che porta al mio giardino con la voglia di restarci. Ed io ti avvolgerò di braccia e calore, dolore e gioia e saremo un corpo solo.
I giorni dell'assenza altro non furono che il tempo della conoscenza, della preparazione dei loro corpi all'accoglienza eterna.





sabato 16 settembre 2017

266. SONO MAVI, IN COSA POSSO ESSERVI UTILE?


No, ma diciamolo allaggente che qui non è che bisogna essere per forza felici, eh! Qui non è che bisogna sempre mostrare il sorriso, che se non ce l'hai non te si po guarda'. No, assolutamente no. Non bisogna per forza essere felici. Ditelo a tutti, che poi ci rompono i coglioni che sono infelici, che sono scontenti, annoiati. Va bene così, a me i tristi piacciono. Iniziate a capire che c'hanno detto solo un mucchio di cazzate, che si vive benissimo anche senza felicità. La felicità non è  per tutti, si deve capire. Come scrivere non è per tutti, le cose bisogna saperle raccontare. Recitare non è per tutti, suonare, cantare non è per tutti. Basta guardare i talent, veri e propri circhi umani, dove gli animali sono poveri uomini e donne da educare al successo effimero e tiranno. Ma voi l'avete visto che il domatore vuole fare in modo che gli animali si muovano tutti allo stesso modo, che siano sincronizzati ed ubbidienti? Maria De Filippi, da me soprannominata 'a livella, per ovvi motivi legati alla spersonalizzazione degli aspiranti vip che si esibiscono nelle sue trasmissioni, ha dimostrato quanto possa essere triste la rincorsa alla fama. Così tutti vogliono dimostrare di saper fare tutto, tutti credono di saper cantare, di saper recitare, ed anche scrivere un libro è diventato oggi più che mai un'espressione di vanità. La scrittura come strumento per raggiungere la popolarità, per esibirsi, nè più nè meno di come fa una velina o un tronista. Tutti presi da un ego smisurato, tutti affetti da una patologia che non perdona: il narcisismo. Avrebbero dovuto pensare ad un vaccino contro questo male, obbligatorio. Tutti convinti di essere bravi in tutto, di poter fare o dire meglio. C'è un proliferare rapido ed incessante di blogger, cantanti, attori, scrittori, youtuber, di persone frustrate.
Tutti credono di meritare di più, che la notorietà, la popolarità, il successo possano sancire la consacrazione ad esseri superiori, possa mostrarli felici, quindi vincitori. 
Così fare la baby sitter diventa un un ripiego, ci si adatta, si fa quasi una concessione al datore di lavoro.
Fare il cameriere è mortificante. Lavorare in un call center è stressante, demotivante e diventa quasi un'attività di cui vergognarsi. 
E pure qualcuno lo deve pur fare questo sporco lavoro.
Ho conosciuto persone più profonde e vere tra i miei colleghi di call center che in qualsiasi altra professione. 
Il lavoro non deve essere uno status, ma uno strumento per vivere provando a realizzare piccoli sogni quotidiani, dall'acquisto del foulard al mercatino, al viaggio in terre sconosciute, dalla libreria per la casa al mutuo per l'acquisto dell'intera casa. E questo è un concetto che ha a che fare con l'umiltà.
Viva i camerieri, i commessi, le maestre, gli operatori di call center che non hanno velleità di fama e di successo, che hanno saggiamente imparato ad apprezzare il proprio lavoro, ad essere professionali e straordinari nell'anonimato. Che non sono obbligati a mostrare di essere felici, ma sanno esserlo più di altri.



domenica 27 agosto 2017

265. L'ODORE DELLA CASA DEI VECCHI


Quando Gep Gambardella parlava dell'odore della casa dei vecchi, io tornavo sempre con la mente alle domeniche della mia infanzia, quelle trascorse a casa dei miei nonni materni, e  più precisamente ad alcuni momenti che hanno segnato inevitabilmente la mia formazione. La casa dei miei nonni era all'interno di un edificio del Risanamento, l'intervento urbanistico realizzato sul finire dell'800 per camuffare, più che sanare, il degrado di alcune zone di Napoli. L'edificio, privo di ascensore, costringeva me e la mia famiglia ogni domenica ad un'ardua impresa: raggiungere l'appartamento dei miei nonni al quarto piano. La prova peggiore da superare non era tanto quella atletica richiesta dalla scalata degli alti e scuri gradini di tufo, ma quella legata ad un rituale pre e post pranzo che i tempi, le convenzioni e il rispetto dei ruoli famigliari, con la complicità di un'impostazione architettonica, imponevano. Insomma, prima di arrivare alla meta, la tanto amata ed accogliente, seppur piccola, casa della nonna, bisognava passare a salutare i bisnonni al terzo piano! 
Appena si varcava la soglia di casa, una puzza di aglio cotto raggiungeva rapidamente le mie narici ed il mio apparato respiratorio, già provato dal superamento  dei tre quarti della scalata, accoglieva a pieni polmoni quell'odore corposo e grossolano, ideale per palati oramai troppo vissuti per apprezzare sapori leggeri. Quanta sofferenza! Più mi addentravo in quella casa piccola, ma dignitosa, ben arredata, secondo una tradizione famigliare di legno di noce ed intarsi preziosi, più temevo di sottoporre il mio olfatto a prove troppo dure, ma dovevo resistere, del resto avrei dovuto solo dare un bacio ai miei bisnonni e poi sarei potuta scappare via. Il fatto è che spesso alla puzza di aglio si sommava quella aspra del lardo o di altri intrugli speziati che proprio mi facevano star male, e finivo per detestare fortemente quella cucina e quella casa, ed un po' anche il mio bisnonno che più di tutti amava aglio e cipolla imponendone il consumo quotidiano anche alla consorte. 
Quando la domenica sera lasciavamo casa dei nonni, spesso lanciavo fantomatiche sfide a mia sorella più grande, improvvisando funzionali gare di velocità che vietavano qualsiasi tipo di sosta prima del traguardo, rappresentato dal grande portone di legno posto all'ingresso del palazzo.
Adesso sembrerò un'insensibile, ma a me l'odore della casa dei vecchi non rievoca passioni, amori, sofferenze, complicità, ma riconduce ad una idea di monotonia, abitudini che chiedono ai sapori di combattere l'assuefazione.
Stasera, rientrando dalle vacanze, mi è piaciuto molto l'odore della mia casa di città. 



sabato 29 luglio 2017

264. IUS SOLI ... E MALE ACCOMPAGNATI

Ve lo dico qui, ed in maniera chiara: a me della polemica sullo ius soli non me ne può fregar di meno! E non perché è estate, perché 'nun voglio pensa' a nient', perché mi diletto a scrivere stralci di storie verosimili, di amori e di emozioni, storielle sentimentali, tant'è che anche lo ius soli è una questione di sentimento, o no? No. Ecco, il punto è proprio questo: non è che non mi interessi perché estraneo alla leggerezza che l'estate impone, ma proprio perché credo che la questione sia di altra natura, che non abbia il significato che le si vorrebbe attribuire. Insomma, sicuramente non ha niente a che vedere con lo spirito nazionalistico e le preferenze razziali, non è una questione sentimentale. Forse per qualcuno ha assunto questo valore, ma per fortuna per pochi. Continuo a pensare che la mescolanza delle etnie comporti un'evoluzione necessaria e benefica, ma qui non si parla di accoglienza ed uguaglianza razziale.  Ragioniamo assieme.
Riporto quanto ho letto a riguardo.

L’ultima legge sulla cittadinanza, introdotta nel 1992, prevede un’unica modalità di acquisizione chiamata ius sanguinis: un bambino è italiano se almeno uno dei genitori è italiano. 
Un bambino nato da genitori stranieri, anche se partorito sul territorio italiano, può chiedere la cittadinanza solo dopo aver compiuto 18 anni e se fino a quel momento abbia risieduto in Italia “legalmente e ininterrottamente”. Questa legge è da tempo considerata carente: esclude per diversi anni dalla cittadinanza e dai suoi benefici decine di migliaia di bambini nati e cresciuti in Italia, e lega la loro condizioni a quella dei genitori (il cui permesso di soggiorno nel frattempo può scadere, e costringere tutta la famiglia a lasciare il paese).

Cosa cambierebbe

La nuova legge introduce soprattutto due nuovi criteri per ottenere la cittadinanza prima dei 18 anni: si chiamano ius soli e ius culturae.

Lo ius soli puro prevede che chi nasce nel territorio di un certo stato ottenga automaticamente la cittadinanza: ad oggi è valido ad esempio negli Stati Uniti, ma non è previsto in nessuno stato dell’Unione Europea. Lo ius soli "temperato", previsto dalla legge presentata al Senato, prevede invece che un bambino nato in Italia diventi automaticamente italiano se almeno uno dei due genitori si trova legalmente in Italia da almeno 5 anni. Se il genitore in possesso di permesso di soggiorno non proviene dall’Unione Europea, deve aderire ad altri tre parametri:

– deve avere un reddito non inferiore all’importo annuo dell’assegno sociale;

– deve disporre di un alloggio che risponda ai requisiti di idoneità previsti dalla legge;

– deve superare un test di conoscenza della lingua italiana.

Lo ius culturae, invece, passa attraverso il sistema scolastico italiano. Potranno chiedere la cittadinanza italiana i minori stranieri nati in Italia o arrivati entro i 12 anni che abbiano frequentato le scuole italiane per almeno cinque anni e superato almeno un ciclo scolastico (cioè le scuole elementari o medie). I ragazzi nati all’estero ma che arrivano in Italia fra i 12 e i 18 anni potranno ottenere la cittadinanza dopo aver abitato in Italia per almeno sei anni e avere superato un ciclo scolastico.

Posto ciò, perché si renderebbe necessaria questa modifica legislativa? Per quale motivo sarebbe opportuno abbassare l'età minima per poter ottenere la cittadinanza italiana, e di colpo estenderla ad un numero notevole di stranieri?
A detta del presidente dell'INPS Tito Boeri, gli immigrati regolari versano ogni anno 8 miliardi di euro di contributi sociali, e ne ricevono in cambio 3: il saldo a favore delle casse dell'Inps, e quindi del sistema nazionale, è di 5 miliardi. 
Ma scusate, non è necessaria una laurea in economia per affermare che Boeri ci sta prendendo in giro. Quello che adesso versano gli immigrati, lo dovranno ricevere, a giusta ragione, in un futuro prossimo, ancora di più se resteranno in Italia assieme ai figli. Quindi la nuova legge va letta in termini di sfruttamento, è una furbata tutta italiana. Si tratterebbe di un prestito, a fronte del quale, però, gli interessi da pagare sarebbero davvero notevoli, sia se si pensa alle pensioni che giustamente dovranno ricevere i neo contribuenti, ma soprattutto se si pensa ai servizi che dovranno essere forniti ai cittadini italiani di nuova acquisizione. Quindi, o Boeri ha già in mente un piano per fare fuori tra qualche anno i beneficiari dello ius soli, magari inserendo il veleno nello spumante che berranno alla festa della pensione, oppure è convinto di giocare alle slot machine. Considerata la mole di anziani che quotidianamente ripone in questo gioco le proprie speranze, questa ipotesi non sarebbe del tutto da scartare. Giochi (su cui lo stato lucra) a parte, supposto che non tutti gli stranieri che vengono in Italia aspirano ad acquisirne la cittadinanza, bisogna iniziare a capire che essere contrari allo ius soli non equivale ad essere razzisti. Questo buonismo da quattro soldi, ci ha stancato da tempo e continua a fare danni. Vada pure avanti la nuova legge sullo ius soli, magari un domani, i malcapitati neo cittadini italiani prenderanno il posto dei Boeri e delle Lorenzin di turno e sapranno fare di meglio.


martedì 25 luglio 2017

263. MY FAVOURITE SOCIAL

Stasera, mentre preparavo la cena, buttando un occhio allo smartphone e l'altro alle polpette, mia figlia mi ha chiesto: -Mamma, quando avevi la mia età, a nove anni, qual era il tuo social preferito? Facebook, Instagram, Musically?- Ha esitato un po' e poi ha aggiunto: -Non so se si chiamavano così. -
Mi sono girata a guardarla ed ho cominciato a sorridere, e lei, un po' risentita, ha aggiunto, -cosa ho detto di sbagliato?-
-Niente, non hai detto niente di sbagliato, anzi, mi hai indotto ad una riflessione. -
-Cioè?-
-Quando avevo la tua età i social avevano altri nomi, è vero, richiedevano più coraggio, o meglio, più naturalezza, non potevi usare telefonino o computer, dovevi portarci tutto il corpo, non solo la mente. Bisognava esserci nel social, non parteciparvi virtualmente.-
-Allora non esistevano.-
-Non propriamente. Erano diversi. Erano più fighi. Il mio preferito si chiamava 'Casa dei nonni'.-
-Casa dei nonni? Ahahah-
-Sì, era il mio social preferito.
Si entrava per incontrare altri familiari ed amici, e in certi giorni anche persone nuove, amici di amici. Proprio come accade su Facebook. C'erano tanti album fotografici da sfogliare, ma a dire il vero, il più delle volte noi bambini le foto andavamo a recuperarle da scatole di cartone o di legno riposte sul fondo degli armadi. Era una sorta di gioco misterioso, anche un po' pericoloso, perché se ci beccava la nonna ci sgridava e non ci lasciava continuare o, nella migliore delle ipotesi, si fermava a guardarle con noi imponendo le sue regole. Prendeva la scatola, si sedeva sull'angolo del letto, così non si faceva il fosso nel materasso, appoggiava lo scrigno sulle gambe e cacciava fuori una per volta solo le foto che voleva 'postare', quelle in cui stava bene, e 'taggava' gli altri soggetti immortalati, chiamandoli a gran voce. "Maria! Vieni a vedere come eri spiritosa in questa fotografia. Enrico! Qui era al matrimonio di mia sorella, guarda che bella camicia ti avevo comprato! Uh! Questo qui dietro era la buonanima di zio Peppino." E si continuava così fino a quando la nonna non decideva che doveva essere messo tutto a posto, così, all'improvviso, perché magari un ricordo le aveva messo addosso un po' di malinconia. Poi a volte entravano i vicini perché era arrivato il nipotino e non sapevano con chi farlo giocare ed allora ci 'chiedeva l'amicizia' e noi la davamo senza pensarci più di tre secondi. Spesso portavano anche qualcosa da mangiare, un dolce fatto in casa o della cioccolata.-
-Mamma, ma questo social piace anche a me!-
-E non ti ho raccontato delle focose conversazioni sulla politica che gli uomini di casa portavano avanti, gli scontri tra i più 'attivi' e le battute dei più diplomatici per smorzare i toni. Oddio, questo forse ti sarebbe piaciuto un po' meno, a me ad esempio da bambina questa parte mi affascinava, ma non mi piaceva tanto quello che sentivo. Non capivo perché persone della stessa famiglia, con gli stessi principi, gli stessi valori, potessero avere idee politiche diverse. Alla fine, quindi, restavo con le mie sorelle ed i miei cugini.-
-Però questo accade ancora a volte la domenica dai nonni, non è vero mamma?-
-Sì, accade ancora, ed è bellissimo. E mi piacerebbe che qualche volta arrivassero anche i vicini, che uscissero dalle loro case, che tornassero a condividere momenti e spazi comuni, che ricominciassero a non aver paura degli altri, a fidarsi. Mi piacerebbe che quando arriva il nipotino, anziché piazzargli un tablet davanti, andassero a bussare alle porte delle case dove sono altri bambini. Magari se si ricominciasse dalla reale condivisione condominiale, se cominciassimo a capire il valore del bene comune, a collaborare nell'interesse del gruppo, nel rispetto delle esigenze di ciascun individuo, forse migliorerebbe anche la vita di quartiere, e poi quella della città, e poi ... chissà. Insomma, forse è un'altra delle mie illusioni, ma ti confesso che, nonostante tutto, 'Casa dei nonni' continua ad essere il mio social preferito e da settembre riprendi a giocare in cortile con gli altri bambini del palazzo.-
-Potrebbe diventare il mio social preferito: "Il cortile".


domenica 16 luglio 2017

262. EMOZIONI RAREFATTE


-C'è già qualcuna che ti piace?
-Forse sì.
-E tu piaci a lei?
-Boh!
-Non lo sai? Non glielo hai chiesto?
-Certo che no, mica siamo bambini?
-Magari lo fossimo! Senza filtri, senza convenzioni, più spontanei e veri. Mi piaci, punto. Te lo faccio capire, o te lo dico proprio, punto. Mi vuoi? No, punto. Sì, evviva. Questo è. Facile, no?
-No, per niente. 
-No?
-No, perché siamo adulti ed abbiamo imparato ad aspettare, abbiamo capito che ciò che ci piace subito, smette di piacerci ancor prima, quel che invece impariamo ad amare piano ha un valore maggiore e dura di più. Abbiamo capito che non c'è niente di più massacrante e riconoscente dell'attesa. Niente di più impegnativo ed estenuante di un lungo percorso temporale, che alla fine però  porta sempre ad un traguardo, sia esso l'abbandono definitivo di un'idea o la sua brillante realizzazione. La lentezza, mia cara, quello dovremmo imparare dai bambini, dedicare il giusto tempo alle cose: il più possibile a ciò che ci piace e ci fa bene, il meno possibile a ciò che non ci piace ed è nocivo.
-Quindi, i bambini sono così bravi perché non hanno la cognizione del tempo? Perchè sanno già che il tempo è un concetto relativo? Sembrerebbe un paradosso: loro che hanno tutto il tempo davanti non aspettano, sono sempre impazienti, non sanno cosa sia l'attesa, gli adulti, che di tempo ne hanno meno, imparano ad aspettare, hanno desiderio di rallentare.
-E sì, perché i bambini possono rischiare, sbagliare e riprovare, possono giocarsi un numero elevato di chance, gli adulti no, sanno di avere molte meno chance, ma soprattutto, non hanno più la voglia e l'incoscienza di tentare, di lanciarsi e rischiare. Gli adulti hanno tanta paura di fallire, devono ponderare ogni scelta, perché sanno che non incontreranno più tante occasioni per poter scegliere. Ma tutto questo desiderio di lentezza, tutta questa voglia di aspettare, viene annullata quando si è davanti all'amore, e allora non c'è prudenza che tenga.
-Quindi stai dicendo che questa tipa ti piace, ma non abbastanza da far crollare ogni barriera, da farti diventare 'imprudente'?
-Può darsi. 
-O ti piace talmente tanto che ti spaventa? Ti piace al punto che hai paura di perderla, ancor prima di averla? E vorresti che l'attesa durasse per sempre, che l'incertezza, il dubbio, il desiderio di essere corrisposto fosse eterno. Hai paura che lei possa prendere il posto di chi l'ha preceduta, che possa cancellare tutto il dolore speso per le donne che hai avuto, mentre preferisci crogiolarti ancora nella tua sofferenza per ciò che è stato, per i torti subiti e gli amori finiti.
Hai deciso di fermare il tempo.
Ma non puoi farlo amico mio, non puoi farlo, e ti accorgerai presto di quanto sia vano questo tuo folle tentativo, di quanto sia ingiusto nei confronti dell'uomo che sei stato, che sei, e che tenti di proteggere. Temi che sia troppo fragile per affrontare nuove emozioni, e allora lo tieni al sicuro dall'amore.
-E allora dimmelo tu come devo fare, tu che sei così brava a capire come va il mondo, tu che credi di aver capito me, lei, tutti, dimmi cosa devo fare.
-Io ti ho ascoltato, ho solo passato l'evidenziatore sopra le tue parole, adesso osservo e sto zitta. Io vorrei solo che ti allontanassi un attimo da te, anzi, dall'idea che ti sei fatto di te stesso, da questa idea che ti piace tanto, che non vuoi tradire, abbandonare. E sarò qui anche quando, prima che te ne renda conto, camminerai accanto ad un'altra donna, fiero e sorridente, grato e riconoscente verso un passato che avrai già allontanato. 
-Sicura?
-Sicura. Ah! Scusa, ma un consiglio te lo voglio dare ...
-Ci avrei scommesso, ti conosco ...
-Baciala! Quella che ti piace, baciala! Raccogli tutte queste emozioni rarefatte in un bacio.


(Liberamente tratto dalla mia opera prima ed incompleta...)

domenica 2 luglio 2017

261. DAVANTI A TE CI SONO IO


E mentre tutti (si fa per dire) partecipavano al concerto italiano dell'anno (così ci hanno detto di chiamarlo), quello di Vasco Rossi intendo, ieri sera una mia amica mi invia un link di YouTube su Whatsapp. Folle! Ma come, qui stasera si deve parlare solo di Vasco, chi non è andato a Modena deve poterlo guardare in TV sul primo canale (così che arrivi anche a Lagonegro), e tu, Valentina, mi inviti ad ascoltare Niccolò Fabi che canta Battisti? No dico, è vero che venerdì ci siamo emozionate ascoltandolo dal vivo nella cornice suggestiva di Castel Santelmo della mia bellissima Napoli, è vero che Niccolò è Niccolò, che Battisti è intoccabile, ma in questo preciso momento, sai che il tuo gesto equivale quasi a schierarsi contro l'obbligatorietà dei 12 vaccini?
No vabbè, figurati, si vede che mi conosci abbastanza, perché io, oltre a schierarmi contro il decreto Lorenzin (che non significa essere contro i vaccini), ieri sera ho tolto l'audio della TV ed ho ascoltato in doveroso e quasi mistico silenzio 'la collina dei ciliegi' interpretata dal meraviglioso Niccolò (https://youtu.be/IsyRabqxn9w). E ti dirò di più, ho riascoltato volentieri gran parte del repertorio di Lucio Battisti: da 'Io vorrei non vorrei ma se vuoi' a 'Il mio canto libero', passando per 'Mi ritorni in mente' e per quella che considero una delle canzoni più importanti della mia vita, 'Amarsi un po''. E mentre cantavo con il sobrio ed austero Lucio, il mio televisore mostrava donne con i seni al vento che, orgogliosamente appoggiate sulle spalle dei malcapitati compagni, lanciavano reggiseni verso il palco di Vasco Rossi. Mi è risuonata in mente la voce di J-Ax che in 'Vorrei ma non posto' canta '... E mamma che lanciava il reggiseno ad ogni concerto...' e penso, con un po' di amarezza, che per molte di quelle donne questa è l'unica trasgressione che possano permettersi.
In ogni caso, al di là di ogni riflessione, prima di mettermi a scalare la collina dei ciliegi, lo confesso, ho spento YouTube, ho alzato il volume della TV a palla ed ho cominciato a cantare 'Rewind'. Ma sì! Quando si parla di trasgressione, piccola o grande che sia, è sempre una liberazione!
A me non piace Vasco come persona, non mi piace quello che so di lui, non mi piacciono le sue dichiarazioni su Napoli, ma ci sono canzoni che pare abbia scritto lui (chissà), che viaggiano in autonomia, che sono talmente belle da farti scordare tutto il resto. 'Alba chiara', 'Canzone', 'Ogni volta'. Fanculo tutto e tutti, e pure Vasco.
Prima di addormentarmi, però, ho riacceso YouTube per ascoltare questa:
 https://youtu.be/2l5xP1EOesk



domenica 18 giugno 2017

260. LA VITA È ADESSO


“C’è una casa di tronchi
con il tetto di tavole, a sinistra.
Non è quella che cerchi. 

E’ quella appresso, subito dopo una salita. 
La casa dove gli alberi sono carichi
di frutta. Dove flox, forsizia e calendula crescono rigogliose. 

E’ quella la casa dove, in piedi sulla soglia, c’è una donna
con il sole nei capelli. 


Quella che è rimasta in attesa
fino ad ora.
La donna che ti ama.
L’unica che può dirti:
“Come mai ci hai messo tanto?”

Raymond Carver


Viviamo costantemente nell'attesa che accada qualcosa di speciale, che ci sorprenda e ci renda felici, finalmente appagati.
La donna con il sole tra i capelli ha saputo attendere, ed è stata premiata. 
È questo che ci insegnano i versi di Carver: l'attesa non è mai vana.
Ma se lui sbaglia casa? E se si fermasse alla casa di tronchi a sinistra? Cosa accadrebbe alla donna, avrebbe forse la luna tra i capelli? Invecchierebbe senza ricevere il premio.
C'è bisogno che qualcuno glielo dica all'uomo di andare oltre, di non farsi ingannare, perché da solo cederebbe alla tentazione della prima casa, una tentazione che gli farebbe solo perder tempo, che renderebbe più lunga l'attesa della felicità. 
Quindi, non preoccupiamoci dei messaggi, delle telefonate, degli incontri che non arrivano, non è quello di cui abbiamo bisogno, coltiviamo flox, forsizia e calendula e godiamo del nostro giardino, la felicità è tutta là. E solo chi ci ama saprà apprezzare i colori, i profumi e la carezza vellutata dei nostri fiori e arriverà a noi. Arriverà, ne sono sicura.






domenica 11 giugno 2017

259. DISTRAZIONI DI MASSA

Oggi parlavo con la mia amica Francesca di quanto siamo diventati tutti più superficiali, di quanto sia diventata abitudine diffusa quella di non andare addentro le questioni, la conoscenza dei fatti. Sappiamo tutti un po' di tutto, ma in realtà non sappiamo niente per davvero. Parlo in prima persona plurale perché ritengo di essere anche io, mio malgrado, un po' parte di questo gruppo di mediocri. Purtroppo ci sono dentro, ma non ancora a livelli patologici, ancora non contaminata dal male del secolo: la prosopopea dell'ignorante. Perché il problema non è tanto la superficialità in se stessa, ma l'arroganza con la quale si affermano le proprie opinabili convinzioni. A Napoli i portatori insani di questo virus si chiamano "ciucci e presuntuosi". Il virus causa nel soggetto attaccato due effetti: aumento dell'autostima e drastica riduzione, fino alla completa scomparsa, della capacità critica. La diffusione della prosopopea dell'ignorante trova terreno fertile tra i frequentatori assidui dei social e tra i teledipendenti, essendo tali mezzi di comunicazione causa di un terrificante livellamento culturale. Bisogna stare attenti a non pestarsi al gioco di chi ci vuole passivi.
Mi viene in mente un tema che ho svolto al terzo anno delle superiori, nel quale mi veniva chiesto di discutere sul mio programma televisivo serale preferito. Cominciai con lo specificare che non guardavo la tivvù la sera, ma leggevo, o ascoltavo la radio, sono sempre stata amante della musica e la sera le radio, negli anni della mia adolescenza, trasmettevano musica senza interruzioni, non c'erano programmi e speaker rompicoglioni, insomma si potevano ascoltare piacevoli playlist. Il coraggio con cui avevo svolto il compito in classe, contestando la traccia stessa, unito alla mia innata passione per la narrazione, mi fecero guadagnare un ottimo giudizio, merito ovviamente dell'intelligenza culturale della mia insegnate di lettere, che non smetterò mai di ringraziare. Questo per dire che talvolta siamo schiavi di moralismi indotti, attuali forme di distrazione di massa, attuate nella nostra totale inconsapevolezza. Un esempio sopra tutti: il caso Riina. Il "popolo italiano" si è riscoperto vendicativo, impietoso e sempre più fascista. Ops! Cosa ho mai detto? Ma come, votano PD e sono fascisti? Tutti froci col culo degli altri! Tutti ad invocare la legge del taglione!
Ma qualcuno, dico 'qualcuno', si è informato che nella nostra amata democrazia il carcere non è punitivo, ma rieducativo? Qualcuno è andato a cercare di informarsi per provare a capire perché Riina ha facoltà di scontare gli ultimi anni in condizioni più  umane? Mi sembra che qui la democrazia sia ad uso e consumo proprio, che ciascuno la intenda come vuole. Alla fine, è come ho scritto più volte: nessuno la vuole questa libertà, la maggior parte degli italiani vuole essere guidata, vuole affidarsi ad una o pochissime persone che decidano e pensino per tutti. E allora non perdete il tempo a discutere la traccia Riina, contestatela e concentratevi su una legge elettorale che provavano a farvi ignorare, che mentre si buttavano parole pro e contro quel delinquente, veniva discussa in parlamento. Sarebbe stato meglio che non ci fossimo fatti distrarre dall'ennesimo caso inventato, che avessimo discusso sul carattere antidemocratico di quella legge elettorale e su tanto altro. 
Francesca ed io siamo politicamente distanti, ma oggi eravamo entrambe d'accordo sul male che ha colpito gran parte dei nostri connazionali. <<Mariavitto'>>, mi ha detto, <<qui non è una questione politica, questa è una questione di etica!>>.
Quanto c'hai ragione France'!



sabato 10 giugno 2017

258. IL BACIO

Ti manderò un bacio con il vento e so che lo sentirai, ti volterai senza vedermi ma io sarò li.

Siamo fatti della stessa materia di cui sono fatti i sogni.

Vorrei essere una nuvola bianca in un cielo infinito per seguirti ovunque e amarti ogni istante.

Se sei un sogno non svegliarmi.

Vorrei vivere nel tuo respiro. Mentre ti guardo muoio per te.

Il tuo sogno sarà di sognare me.

Ti amo perché ti vedo riflessa in tutto quello che c’è di bello.

Dimmi dove sei stanotte ancora nei miei sogni?

Ho sentito una carezza sul viso arrivare fino al cuore.

Vorrei arrivare fino al cielo e con i raggi del sole scriverti ti amo.

Vorrei che il vento soffiasse ogni giorno tra i tuoi capelli, per poter sentire anche da lontano il tuo profumo!

Vorrei fare con te quello che la primavera fa con i ciliegi.

Pablo Neruda, Il Bacio

Bellissima! Trovo che questi versi siano davvero ricchi di amore, più che di passione, di un sentimento più nobile. Qui si legge di un amore più delicato, più rispettoso (ti manderò un bacio con il vento), di un amore che brama con discrezione  (vorrei che il vento soffiasse ogni giorno tra i tuoi capelli, per poter sentire anche da lontano il tuo profumo!), che gode della bellezza e dello splendore dell'altro, e magari auspica di esserne l'artefice (vorrei fare con te quello che la primavera fa con i ciliegi).

Adoro questi versi, c'è tutto il senso dell'amore vero, che non è possesso, ma desiderio, ammirazione, non urla e non è invadente, bensì è silenzioso ed impalpabile come un sogno. La carezza ed il bacio sono le uniche espressioni fisiche che in questa eterea celebrazione dell'amata appaiono esse stesse nobili ed eleganti.

Credo sia questa la parte migliore dell'amore: un bacio lanciato con il vento.


domenica 28 maggio 2017

257. VI SPENGO

Noto molta agitazione sulle bacheche di Facebook per un video che gira intitolato “Vi spengo”, un video che esorta alla ribellione, che in sostanza chiede di spegnere le luci tutti insieme il 2 giugno alle ore 21:30. Adesso, spegnere le luci per un minuto tutti insieme, comodamente da casa propria, non dovrebbe essere un grande sforzo, neanche un gesto di grande coraggio, visto che lo si può svolgere nell'anonimato, e non venitemi a dire che si può andare a verificare quali contatori si sono fermati, perché sarebbe una follia ed i motivi potrebbero essere tanti. No, non dovrebbe essere per niente difficile aderire a questa iniziativa, ma la gente si chiede “perché”. Il popolo dei social si è insospettito e nasconde la paura dietro lo scetticismo, un estemporaneo senso critico. Ci siamo bevuti la storia dell’olio di palma, ci siamo abituati alle pubblicità durante i film, ci sfoghiamo sui social, crediamo solo nella bellezza (quella finta) e nella notorietà (breve ed illusoria), ci lasciamo indottrinare dal primo arrogante che taccia di ignoranza chi la pensa diversamente, abbiamo imparato a stare sempre più soli e ad essere sempre meno naturali. Le nostre paure aumentano ed abbiamo sempre più bisogno di una guida, oramai sempre più incapaci di formulare un pensiero tutto nostro. Io non diffido di quelli che hanno condiviso il video, di quelli che l’hanno fatto girare, io non mi fido di quelli che lo temono, di quelli che hanno paura dell’incerto. I primi, quelli che hanno aderito alla diffusione del video, lo hanno fatto senza chiedersi da chi potesse partire l’iniziativa, o forse qualcuno un’idea se l’è fatta, ma gli altri, quelli che dalle loro bacheche impartiscono lezioni di maturità e scetticismo, hanno più paura della vita e hanno perso ogni speranza, ogni ideale. Probabilmente fanno le manifestazioni solo se comandate dal sindacato, aderiscono alle iniziative benefiche, solo se adeguatamente pubblicizzate, dicono e scrivono solo ciò che è prevedibile ed accettabile dalla massa. No, non voglio promuovere l’iniziativa, anzi, ribadisco che ciascuno deve farsi un’idea propria ed esserle fedele, la mia intenzione è proprio quella di evidenziare quanto sia inesistente la voglia di cambiare e di rischiare. E' evidente, infatti, che chi contesta ha già un padrone che gli dice come e quando contestare, e non sa se questo è il caso in cui bisogna credere o no. Mille volte più libero si è mostrato chi ha voluto credere in questa iniziativa, pur senza conoscerne i promotori, diffondendo il video, mille volte più vero e spontaneo, con una mente ancora viva, non spenta, non comandata. Mettiamola così: se anche si trattasse di un esperimento, se anche fossimo, come spesso accade a nostra insaputa, oggetto di osservazione per analizzare le reazioni della massa ad una certa azione, avremmo mostrato tutte le nostre paure, avremmo fallito un’altra volta.




martedì 23 maggio 2017

256. UNA TREDICENNE

Blanche, capelli chiari ed occhi scuri puntati sul mondo, ma soprattutto sul suo smartphone. Blanche e la sua musica, emozioni recepite attraverso le sue cuffiette e i video su YouTube. Blanche e le sue delusioni da tredicenne, così intense, ma così brevi. Troppo ancora da desiderare, troppi sogni ancora da sognare, amori da vivere e da immaginare, canzoni, libri e chilometri da divorare, volti da incorniciare, troppa vita davanti per fermarsi a guardare dentro ogni minuto. Blanche e la sua rabbia per le ingiustizie, il suo disorientamento, la sua voglia di piacere. E poi le canzoni di Ariana Grande, Problem, Bang Bang, Into you, belle da ascoltare, da cantare, bella Ariana e la sua dolcezza, bella come Blanche. Ieri, 22 maggio 2017, finalmente la grande occasione, il concerto di Ariana a Manchester, proprio a due passi da casa sua. Aveva acquistato il biglietto on line, assieme al suo papà che le sarebbe stato accanto in quella nuova esperienza, il suo primo concerto. Si era precipitata fuori all'arena il pomeriggio, costringendo il padre ad un'attesa noiosa ed interminabile: quattro ore in fila sotto i cancelli per riuscire a vedere da vicino la sua cantante preferita. Di tanto in tanto messaggiava con la mamma che era rimasta a casa con la sorellina, le inviava i selfie con il papà, con le compagne di avventura, era felice, e la mamma con lei.
I selfie, i messaggi e qualche foto sgranata di Ariana che si esibisce gioiosa sul palco (altro che dangerous woman), sono gli ultimi contatti, le ultime emozioni, gli ultimi abbracci tra Blanche e la sua mamma. Blanche è saltata in aria, assieme al suo papà alle 22:35 di ieri, per un ennesimo gesto di follia.
Questa storia potrebbe avere altri nomi, poteva accadere a Milano, il 25 maggio di due anni fa, il primo concerto di Ariana a cui ha assistito mia figlia Bianca, ed io ora sarei stordita da psicofarmaci. Non abituiamoci mai a questa bruttezza, a queste atrocità! Non facciamoci ingannare, quello che sta accadendo si può fermare, ma ci vuole la volontà di tutti. Come cavolo ha fatto il kamikaze ad entrare al concerto carico di esplosivo? Una parola: corresponsabilità. Ed è così per ogni atto che per comodità e inganno definiscono "folle".




lunedì 15 maggio 2017

255. CRESCETE E PROSTITUITEVI

Non sopporto chi scrive "pò" e non po', chi dice "lo voglio bene", "lo rispondo", chi scrive fà, sò, e tante altre scorrettezze inguardabili ed inascoltabili. Non sopporto l'approssimazione, la superficialità nel parlare e nello scrivere, che non ha niente a che vedere con i titoli di studio (sono regole che si imparano alle elementari), ma è solo una delle tante espressioni di un modus vivendi, denota altrettanta superficialità e sciatteria nella cura della propria persona, nel lavorare, e soprattutto nelle relazioni umane. 
Lavoro molto con le mail, ci sono persone che conosco solo tramite questo mezzo di comunicazione, ed ho imparato a capire molto dei miei interlocutori, anche solo attraverso le parole e la forma che utilizzano. Ammetto di nutrire particolare antipatia per chi non ha l'abitudine di iniziare la mail con un saluto ed inserisce il nome del destinatario all'inizio, quasi come ad impartirgli ordini, o ad ammonirlo, e soprattutto chi scrive il nome della persona a cui si rivolge in maniera scorretta, la trovo una grande mancanza di rispetto. A me capita, infatti, che qualcuno scriva il mio nome in due parole anziché per intero, che lo scriva con la V maiuscola, insomma, se leggi che mi chiamo Mariavittoria, non avrò mai una buona considerazione di te se scrivi il mio nome così: Maria Vittoria, o peggio ancora, MariaVittoria, ma insomma, ma che razza di modi sono? Tanto vale che mi chiami essere vivente, facciamo prima, almeno mi distinguo da te che vivi poco e male, o perlomeno "distrattamente". E poi quelli che non ringraziano, che rispondono dopo molti giorni o, peggio, non lo fanno per niente.
Non sopporto gli avari perché sono anche poco magnanimi nei sentimenti (e qui la mia amica Susanna sorriderà perché è una delle intolleranze che ci accomuna e di cui ci lamentiamo spesso); non riesco a digerire quelli che accusano gli altri di invidia, perché sono i primi invidiosi; quelli troppo gelosi, perché sono i primi traditori; quelli che fanno la spia e riferiscono gli errori ed i peccati degli altri, perché sono i primi a dover nascondere i propri errori, e sono essi stessi grandi peccatori. Quelli che giudicano e sentenziano, perché è proprio per la loro mancanza di coraggio che condannano chi invece riesce nell'impresa che loro hanno rinunciato ad intraprendere. Guardo oramai quasi con tenerezza chi assale, chi attacca, perché so che si sente più debole. Mi annoiano le belle parole ed i vani tentativi di mostrarsi sempre buoni, di voler apparire perfetti. Non sopporto chi cita testi ed espressioni fingendo che siano proprie, mi intristisce chi copia. Adoro le imperfezioni della spontaneità, la verità dell'istinto. Siate voi stessi, a costo di apparire impopolari!

Questo è il mio personalissimo, modestissimo omaggio ad Oliviero Beha, un giornalista vero, di grande ironia e cultura, uno che non era simpatico a molti, che appariva anche un po' arrogante, ma fedele a se stesso.


domenica 14 maggio 2017

254. RICONOSCERSI

La prima volta che ti ho visto, non riuscivo ancora a metterti a fuoco, ma già avevo capito che eri bellissima.
La prima volta che ti ho visto,
avrei voluto chiederti scusa, perché ti
avevo già fatto male.
La prima volta che ti ho visto, eri lì, stanca, sudata, fiera, ed ho capito immediatamente che eri una guerriera.
La prima volta che ti ho visto, mi sono affidato a te, senza timori, senza alcuna paura. E ancora adesso è così.
La prima volta che ti ho fatto ridere, ero talmente felice che quasi mi facevo sotto.
La prima volta che ti ho visto piangere, non capivo perché, mi sono arrabbiato, come se mi stessi picchiando. Non sopportavo quel tuo lato debole, non sopportavo l'idea che io non ti bastassi, che qualcun altro avesse il potere di farti male. Più tardi, ho capito che ti eri vergognata di quel pianto e che io mi ero rattristato, solo perché mi ero sentito messo da parte.
La prima volta che ti ho visto dolorante, mortificata da un male subdolo e prepotente, ho bestemmiato, ho sbattuto la porta e sono scappato.
Forse ti ho deluso, forse non era la prima volta, e forse non sarà neanche l'ultima, ma ti giuro che ognuna di queste volte ti ho amata più di me stesso, mamma.


L'ho scritta più di un anno fa, ma la sento oggi ancora di più mia, oggi che vorrei sbattere forte la porta per scuoterti e ricordarti che qui c'è ancora bisogno di te.



martedì 9 maggio 2017

253. GRAZIE

Il 10 maggio di quattro anni fa nasceva questo blog, il mio spazio privato condiviso, il mio divanetto da psicoterapia. Ho usato questo blog per parlare a me prima che a voi lettori, e l'ho fatto nella maniera più spontanea possibile, perché fosse evidente che raccontare di me sarebbe stato come raccontare di uno di voi. Scrivere dei sentimenti, dei nostri errori, delle nostre paure, delle tradizioni e dei luoghi comuni è il mio modo per sentirmi un po' più libera, più forte. Ogni tanto tocco argomenti di attualità e politica, solo per ricordare che per essere liberi bisogna conoscere, partecipare. E allora finisce che ci resto un po' male se assisto al decadimento di una classe politica che non fa altro che sputare veleno sull'avversario, anziché pensare al popolo ed ai programmi per risanare un'economia malata ed arrogante. E diciamolo che lo sappiamo tutti che gran parte delle ONG sono sporche, che Macron non è la salvezza per l'Europa, che è avvilente che una parte di italiani (e non) abbia dato due euro per concedere fiducia ad uno che promette di uscire dalla politica e non lo fa, come del resto non ha mantenuto altre promesse. Insomma, è sempre più l'epoca della forma, dell'apparenza, delle belle parole, del bell'aspetto, e alla fine cosa resta? Quali alibi racconteremo un giorno ai nostri figli? Non lo so, magari non ne parleremo per niente. Intanto, confido nell'amore, per dare un senso a tutto (anche se un senso non c'è, come direbbe Vasco), l'amore per la propria terra, per i propri ideali, per se stessi, per una giustizia sociale e per la libertà (che non vuole nessuno). Un abbraccio a tutte voi, care lettrici, che leggete i miei racconti ritrovando un po' della donna che siete, o che vorreste essere, voi amiche sconosciute e timide, voi sincere ed entusiaste, voi che mi scrivete in privato ed anche voi che ho il privilegio di conoscere di persona e che quando incontro mi regalate dei bellissimi sorrisi. Che bello sapere di essere stata capace di emozionarvi, farvi riflettere, sorridere e a volte di consolarvi! Vorrei essere riuscita a farvi sentire un po' meno sole, a farvi amare un po' di più la donna che siete.  Un abbraccio anche a voi lettori affezionati, uomini sensibili e disorientati. Ecco, a voi, invece, vorrei essere riuscita a donare un po' di tranquillità, a far capire quanto noi donne siamo diventate fragili, incapaci di sostenere tutto il peso di questo ruolo da eterna protagonista, quest'ansia da prestazione. Avvicinatevi a noi senza protezione, senza frasi fatte e strutture virtuali, tornate a parlarci guardandoci negli occhi, con la grazia di un principe e la determinazione di un combattente, non temete le nostre incoerenze, siate voi una certezza. Qui c'è bisogno di uomini! Quelli veri, che non hanno bisogno di raggiungere un elevato numero di prestazioni sessuali per dimostrare la loro virilità, che non picchierebbero mai una donna, che hanno il coraggio di affermare le loro idee, che sanno perdere e chiedere scusa.
Grazie per le 52.437 volte in cui mi avete fatto compagnia, venendo qui a leggere di me, dei miei dubbi e delle mie fantasie.
Buon compleanno al mio blog ed a tutti voi GRAZIE GRAZIE GRAZIE!


Il quadro è della giovane artista partenopea Laura Albrizio e s'intitola "E se fosse stato Adamo a nascere da una costola di Eva?"

lunedì 17 aprile 2017

252. CORRISPONDENZA DI COPIOSI SENSI

Qual è il modo migliore per comunicare?
Le parole? La voce? Il corpo ed i suoi gesti?
Si parla spesso del linguaggio degli occhi, di sguardi eloquenti, di luce dell'anima. Ma poi siamo sicuri di saperlo decifrare questo linguaggio? A tal proposito, colgo l'occasione per dichiarare ufficialmente che adopero spesso le lenti a contatto, e non vorrei aver illuso alcuni uomini con il mio frequente e funzionale battito di ciglia.
Mi verrebbe da affermare quindi che siano più semplici le parole, o no?
Le parole hanno un'interpretazione univoca, o meglio, dovrebbero avere lo stesso significato per tutti, ma pure questo non sempre è vero.
Ci sono parole belle, che fanno piacere, ma possono diventare inutili, insignificanti, se pronunciate spesso, per abitudine: quanti 'amore mio' adoperati alla stregua di un 'bella' o 'cara' hanno creato vani entusiasmi! Ci sono parole forti, che fanno male, pronunciate o scritte con superficialità, che non si lasciano dimenticare facilmente. Parole a cui ci appigliamo ogni volta che cerchiamo un alibi alla nostra rabbia, parole forti come 'ingrassata' (anatema!). In realtà si utilizzano spesso parole inappropriate, enfatizzanti, o sminuenti, che vengono interpretate in base al momento ed al rapporto che abbiamo con chi le ha scritte o pronunciate. Intanto le parole sono importanti (lo diceva anche Moretti), le parole andrebbero pensate prima di adoperarle. Soprattutto se sono scritte. Viceversa, le parole pronunciate in un discorso possono essere un po' più spontanee, perché sono accompagnate dall'espressione del viso, dal tono della voce, elementi che non hanno alcuna importanza se si riveste un ruolo pubblico, in tal caso, non si perdona la superficialità nella scelta delle parole, nessuna tolleranza, perché gli errori verbali sono sempre politicamente scorretti. 
E allora non ci resta che il linguaggio del corpo ... mi sa che è l'unico linguaggio universale.
Quindi, state attenti, se non si tratta di una conversazione di carattere esclusivamente professionale, o di mera informazione asettica, state lontani dai messaggi, hanno fatto più danni del teorema di Marco Ferradini.
Guardatevi negli occhi, parlate meno, e fatelo da vicino, basterà molto poco per comprendervi.




sabato 18 marzo 2017

251. FESTA DEL PAPÀ

Quest'anno ho scritto due righe per il mio papà perché mella vita è importante un buon padre ...


Ehi papà! Chinati un po' verso di me e fatti dare un bacio, giusto un po', che ci ha pensato il tempo ad accorciare le distanze. 
Fammi sentire ancora una bambina, e non ti imbarazzare se resto qualche secondo in più attaccata a te. Non temere di sembrare vecchio e lascia uscire la tua tenerezza. 
Voglio abbracciarti adesso, adesso che posso stringerti, che sei un po' più morbido e più stanco, che il tuo corpo ha lasciato andare le prime difese.
Hai condannato con sguardo severo le mie scelte che non ti aspettavi, ma hai sempre perdonato i miei errori, hai aperto le braccia per riaccogliermi quando sono tornata sui miei passi. 
Sei la mia forza, il mio primo innamorato, dicevi, la mia casa. 
Sei l'ancora che dà stabilità alla famiglia, che ha mitigato, e ancora vorrebbe farlo, la passionalità di una compagna che adesso fa meno rumore.
Sei il mio papà, fiero, orgoglioso, ironico e protettivo, a volte un po' severo, incorruttibile ed anche un po' presuntuoso, ma sempre leale e premuroso. Avaro di carezze e baci, ma con due bellissimi occhi verdi in cui desidero specchiarmi per molto tempo ancora.




mercoledì 8 marzo 2017

250. MANIFESTO DELLA DONNA 2017

Sono una donna, felice di esserlo, madre di due meravigliose piccole donne, zia e sorella di altrettanto splendide donne, figlia di una grande donna mortificata da una malattia cattiva, amica di tante imprevedibili e accattivanti donne.
Oggi devo farlo, oggi voglio farlo per loro e per me.
Abbiamo finito per adoperare troppo l'espressione "al di là", sì, è vero, ci fa sentire forti nonostante tutto, ma è importante anche per un giorno svestirsi di quest'armatura e ricordare che ...
Al di qua degli errori, della fortuna, dei tradimenti, dei silenzi, c'è una donna che paga le sue pene, che urla i suoi silenzi, perché al di qua c'è solo lei ed è solo lei la sua fortuna.
Al di qua, c'è una donna che subisce discriminazioni e combatte quotidianamente, spesso con un sorriso, altre, con la rabbia.
Al di qua della bellezza e delle risate, ci sono notti in bianco e federe di cuscino sporche di rimmel.
Al di qua della leggerezza, ci sono donne che regalano amore, anche dietro quella che qualcuno chiama scopata.
Al di qua degli sguardi corrucciati, dei dispetti, delle grida di stanchezza, delle quotidiane pretese, c'è una donna che vuole solo essere abbracciata.
Al di qua di una persona autonoma, intraprendente, che organizza una casa, una famiglia, il lavoro in ufficio, in un negozio, in uno studio, c'è una donna che vuole qualcuno che ogni tanto si prenda cura di lei.
Al di là di mille parole, ci sono i gesti, gli sguardi, e le presenze, ma anche qualche dichiarazione di stima non guasta. Al di qua c'è anche bisogno di belle parole. Non dimentichiamolo.

E se ci sorprendiamo ancora a lacrimare l'otto marzo, mentre alla radio trasmettono Sally di Vasco Rossi, sarà la primavera.

Buona festa delle donne.

P.S. Chi vuole, può regalarmi fiori, li adoro.



mercoledì 1 marzo 2017

249. SEI STATO AGGIUNTO

Gruppi whatsapp di cui sono membro:
Genitori della terza F
Genitori della quarta C
Colleghi vicini
Colleghi lontani
Colleghi a metà strada
Colleghi amici
Gruppo acquisto pesce Arcofelice
Gruppo acquisto pollo e carni varie
Gruppo cugini lato paterno
Gruppo cugini lato materno
Le mie sorelle
La mia famiglia 
Le mie amiche storiche
Regalo Maria
Noi che non vogliamo fare il regalo a Maria
Gruppo di ascolto Sanremo
Gruppo maratona Mentana
Gruppo maratona TV TALK
Gruppo dieta forever
Gruppo trippa forever
Gruppo I love to love
Gruppo quelli che votano NO
Gruppo sticazzi 
Caro Zuckerberg, basterebbe anche cambiare il verbo: 'ha abbandonato' ti fa sentire di schifo, come se li avessi lasciati tutti soli lì, fuori all'autogrill, e fossi scappato con il pullman della gita. Non si fa.
E allora scriviamo pure: 'è uscito a comprare le sigarette', tanto è lo stesso, ma almeno è più ironico. Il verbo 'abbandonare' equivale ad un addio triste, se vogliamo anche un po' macabro, 'il caro fratello ci ha abbandonato', uno a sto punto non esce dal gruppo pure per scaramanzia.
Meglio sarebbe 'torna subito', 'si è preso una pausa di riflessione', oppure 'vi lascia perché vi ama troppo'. Qualsiasi cosa sarebbe meglio dell'abbandono, anche 'vi ha schifati', oh! Perché poi, si abbandona chi non è autonomo, quindi è necessario cambiare il verbo, anche per ridare una certa dignità ai partecipanti che coraggiosamente restano nel gruppo. Nessuno si senta abbandonato,  e diciamolo che si può anche andar via da un gruppo perché non si regge più qualche partecipante col ditino iperattivo. Quello che anche quando ha da lasciare un messaggio personale, usa il gruppo per comunicare con uno solo dei partecipanti. E fagliela una telefonata, no!?
Proporrei l'uscita per prescrizione: se non scrivi per più di una settimana, la tua condanna a partecipare si estingue e sei automaticamente fuori dal gruppo, libero: è uscito per decorrenza dei termini.
Oppure, sarebbe carino, anche più attuale, creare gruppi 'a termine', senza impegno, con una scadenza breve, che si autodistruggono al massimo dopo un mese, una frequentazione senza sentimenti, al passo coi tempi. 
E poi, escluderei dai gruppi tutti quelli che continuano ad inviare messaggi audio, perché il messaggio di testo, sms prima, whatsapp dopo, è stato creato per mantenere una certa discrezione, per limitare l'invadenza. Invece, vedi quel messaggio audio che ti fissa e ti chiede di essere ascoltato, perché potrebbe essere importante, potrebbe essere una richiesta di aiuto di chi non ha il tempo di scrivere, una registrazione importante e potresti vivere di rimorsi se non l'ascoltassi. E allora vai, anche se sei in ufficio, anche se sei in metro o in un ascensore pieno, metti il dito sulla freccetta e avvicini il telefonino all'orecchio per evitare che tutti ascoltino, e ... FIIIII QUA TRA QUA ... parte una voce gracchiante a mille che ti comumica il suo apprezzamento sulla tua foto profilo di whatsapp. Ma vaffanculo va!

Vado a cambiare il mio stato temporaneo whatsapp...



domenica 26 febbraio 2017

248. CHE SIA MALEDETTA

Il post precedente si chiudeva con queste tre parole: "Che sia benedetta!", ultimo verso della canzone che Fiorella Mannoia ha portato al Festival di Sanremo, un inno alla vita.
Nelle due settimane successive, ironia della sorte, ben tre avvenimenti hanno sottolineato in maniera eclatante che a volte la vita la si può maledire.
L'ha maledetta il sedicenne che si è suicidato a Lavagna, dopo aver ricevuto la perquisizione dalla Guardia di Finanza. Perquisizione voluta da una madre esasperata, una madre che non ha saputo trovare altra via per attirare l'attenzione di suo figlio, un figlio che alla fine l'ha punita, infliggendole l'ultima grande pena: il dolore immenso della perdita e il peso eterno del rimorso. Chissà perché l'amore spesso ci fa sbagliare, fino a farci commettere in certi casi errori irrimediabili
La maledicono, questa vita. le donne che si trovano davanti alla scelta devastante di interrompere una gravidanza, e che mai e poi mai si augurerebbero che ad attenderle in ospedale ci sia un medico obiettore. Perché un medico deve essere tale sempre, non solo quando lo ritiene opportuno. Ben venga quindi la decisione del San Camillo di riservare il concorso esclusivamente ai ginecologi non obiettori.
La sta maledicendo Fabiano Antoniani (dj Fabo) che all'età di 40 anni, costretto in un corpo che non gli appartiene più, divenuto cieco e tetraplegico in seguito ad un incidente, proprio non ne può più di affrontare terapie fastidiose e fallimentari, e chiede di poter morire, invoca l'eutanasia.

E allora, che sia maledetta questa vita che umilia, mortifica, che ci costringe a scelte tragiche, o che addirittura ci rende impotenti, non ci dà opportunità di scegliere, che sia maledetta.

Che si maledica, fino a che non ritorni ad essere magnanima, fino a che non torni a sorprenderci e ad essere nuovamente benedetta, ma che si possa avere sempre la voglia e la forza di affrontarla.
Benediciamo e malediciamo libaramente, ma che sia sempre vita.

Se poi è essa stessa a deporre le armi, se decide di lasciarci in uno stato vegetale, disarmati allo stesso modo, che si possa porre fine alla farsa.

Hanno creato un hashtag per sollevare l'interesse del governo italiano sulla vicenda di Fabiano Antoniani, perché si legiferi finalmente in materia di suicidio assistito:  per chi volesse informarsi ulteriormente o appoggiare la protesta.