martedì 9 agosto 2016

223. DI CICCIOTTELLE E DI ALTRE STORIE

Il resto del Carlino definisce “trio delle cicciottelle” le tiratrici con l’arco italiane in gara alle Olimpiadi, e si scatena il putiferio:  i social si accaniscono contro il quotidiano, ma le campionesse non accusano. Del resto, perché dovrebbero? Ci scateniamo contro i giornalisti che esaltano i glutei di alcune atlete o la tartaruga dei nuotatori? No, e allora perché dovremmo farlo in questa occasione? Hanno scritto “cicciottelle” perché evidentemente è così che le vedono. Riflettiamoci un attimo, senza seguire la solita scia dei buonisti, e di quelli che difendono ogni “perseguitato” ponendolo loro stessi nella condizione di “diverso”.  A me non sembra offensivo, e lo dico da cicciottella. Un titolo di giornale deve essere accattivante, deve incuriosire, certo non deve mai offendere, ma ha bisogno di espressioni condivisibili. Nella folta schiera di atleti che ha sfilato durante la cerimonia di apertura delle Olimpiadi, abbiamo potuto ammirare fisici statuari, bellezze di vario colore ed etnia, e tra questi saltavano all’occhio i pochi, rari corpi un po’ più morbidi ed in leggero sovrappeso. In un contesto come quello , un atleta con un po’ di ciccia rientra in una strettissima minoranza, ed è naturale che l’elemento distintivo diventi anche un modo per etichettarlo.  Qualcuno ha scritto che il vero errore non è nel titolo dell’articolo, ma nell’abitudine di classificare le persone in base al loro aspetto fisico. Certo, è un errore soffermarsi sull’involucro e non valutarne il contenuto, ma è anche vero che alcune caratteristiche non possono essere ignorate e sono lì a raccontare di una persona, assieme a tutto il resto ed è naturale ammettere di averle notate, non è giusto, piuttosto, che queste caratteristiche fisiche rappresentino una discriminante.
Gli atleti hanno caratteristiche che vanno ben oltre quelle espresse dal proprio corpo: tenacia, impegno, sacrificio, dedizione, e non saranno certo dei chili in più a celarne il valore.
Pochi giorni fa un amico scherzando mi ha chiamata “chiattona” e l’ha fatto pubblicamente, commentando un mio post su facebook. Conosco quest’uomo da quasi vent’anni e gli voglio bene, è pulito, onesto, leale, ed è un buono, e sapevo quando ho letto il commento che non c’era alcuno scopo offensivo, anzi. Se uno scopo c’era, era quello che contraddistingue la sua ed anche la mia ironia, andando contro gli stereotipi, contro queste mode degli opinionisti da quattro soldi che girano sui social. Li chiamo gli sciacalli dei sentimenti, quelli che speculano su ogni tragedia, su ogni disagio umano, provando sempre a commuovere il lettore. Sono i vari “personaggi pubblici” che sulle loro pagine, per diventare “social” e conquistare “mi piace”, sparano sentenze su ovvietà e luoghi comuni a oltranza. Sono quelli che un anno fa hanno postato la foto del bambino siriano sulla spiaggia, morto nel tentativo di raggiungere l’Europa. Sono quelli che qualche settimana fa hanno pubblicato l’immagine della bambina francese con la bambolina accanto, vittima della strage di Nizza. Quelli che sprecano parole per i gay, gli immigrati, i poveri del mondo,  gli ammalati, urlando frasi fatte, spesso senza cognizione di causa, senza avere alcun argomento a supporto delle proprie affermazioni. Questi stessi soggetti oggi magari insultano il direttore del Carlino.
La bellezza conta, la bellezza è importante, ma non è quantificabile attraverso  parametri univoci ed assoluti e soprattutto, non si ferma al corpo e non può e non sarà mai il solo metro di valutazione di una persona.
Mi sono tormentata per giorni sull’esito di un incontro nato per caso, ho creduto che fossero stati i miei chili di troppo a determinarne il fallimento e forse lo credo ancora. Non lo so, ma mi dispiace pensare che possa essere stato così.  Per me ogni persona che incontro è un regalo che la vita mi offre, non potrei mai fermarmi alla confezione, mi viene sempre voglia di aprirla, scartare il regalo, aprire la scatola, ammirarne il contenuto, arricchirmi di pezzi di vita altrui e, scambiare e ricambiare idee, storie ed emozioni.
A Napoli si dice “è bell ma nun abball”, per indicare le persone belle solo fisicamente, ma vuote, senza fascino, prive di personalità, ed è un’espressione che adoro perché la dice lunga su un certo modo di affrontare  la vita.

Siate belli, ballate, e cicciottelle o grissini che siate, fregatevene, voi siete molto di più, ma solo per chi vi saprà capire. Siate le “chiattone” degli amici che vi fanno sorridere e lasciate agli altri tutte le cazzate fatte di belle parole e falsi complimenti.


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