giovedì 29 dicembre 2016

240. 12 BUONI PROPOSITI PER IL 2017

I miei propositi per il nuovo anno:


1. Chiudere il c/c al MPS.
2. Cancellare perentoriamente dalla rubrica chi visualizza e non risponde. Vabbè non proprio, magari avrà letto mentre guidava e non poteva rispondere, oppure non trovava le parole giuste, oppure boh, che sarà mai, no non lo cancello.
3. Fare scorta di tutti i prodotti contenenti olio di palma, che sono tanto buoni.
4. Perseverare nelle partenze deficienti, sconsigliate da tutti ed intraprese dai pochi che non devono dimostrare di essere intelligenti.
5. Procurarmi numerosi veli stendibili.
6. Imparare a dire NO, anche se non è un quesito referendario. 
7. Ricordare a tutti quelli che impartiscono lezioni dalle bacheche di Facebook che i loro post sono letti sulle tazze del cesso.
8. Imparare ad arrivare tardi agli appuntamenti, come tutti quelli che non hanno un cazzo da fare.
9. Imparare a fare i selfie, che nella vita serve sempre.
10. Ricordarmi che se desidero che il caso mi faccia incontrare qualcuno di interessante, non devo fare altro che uscire di casa struccata, anzi meglio con il trucco del giorno prima, in tuta e con gli occhiali e magari inciampo nei piedi di Alessandro Gassman.
11. Far comprendere a certe donne (ma anche a certi uomini) che le separate o le single non sono pericolose, non sono delle mangiauomini, alcune hanno una vita sessuale più intensa delle amiche sposate, è vero, ma sono solo delle inguaribili romantiche che credono ancora nell'amore vero e non accettano compromessi.
12. E poi, ricordare agli uomini che, se è noto che alcuni di loro compensano scarse misure con la grandezza del fuoristrada che guidano, altri ricorrono ai botti la cui intensità è inversamente proporzionale alla più discussa grandezza. Insomma, più è forte il botto che spari a Capodanno, più flop farai durante l'anno.


sabato 24 dicembre 2016

239. NONOSTANTE ME


Avete presente quelle agende che non iniziano dal 1° gennaio, ma partono dal mese di dicembre dell'anno precedente? Ecco, io sono così. Non che voglia rivivere il mese di dicembre, intendiamoci, viceversa, mi sono portata avanti con il lavoro, ho deciso già diversi giorni fa che per me il 2016 poteva finire, aveva fatto abbastanza!
Sarà perché compio gli anni a inizio dicembre, ma spesso i cambiamenti che mi appartengono cominciano prima della fine dell'anno.
Un anno fa, il giorno del mio compleanno, cambiavo casa, e qualche cosa in più, quest'anno ho cambiato prospettiva, ho cominciato ad aspettare di essere raggiunta, a non inseguire, ma neanche a scappare. Ho cominciato ad apprezzare la solitudine, a non accontentarmi dei finti amici, dei finti amori, a lasciare andare chi mi aveva dato tanto, prendendo ancor di più, a cacciare chi non era pronto per me e ad accettare un rifiuto inconsciamente auspicato, ed oramai posso dire che chi mi è rimasto accanto ha superato la selezione. Infatti sono sola. Quasi. Mai mettere alla prova le persone, il novantanove per cento delle volte disattendono le aspettative. Non lo fate mai, soprattutto a Natale. È che questo è un periodo strano, emotivamente delicato, bisogna decidere come difendersi dalla malinconia, c'è chi mangia tanto, c'è chi fa sesso inconsulto e chi fa dell'ironia.
Quindi, se vi sentite giù, seguite uno dei tre rimedi, funzionano alla grande, ma naturalmente hanno anche delle controindicazioni.
Mangiare tanto nuoce gravemente alla salute ed anche all'umore, perché dopo un'immediata goduria del palato, un senso di smisurata allegria, segue un abbattimento fisico ed umorale causato dal picco glicemico. Quindi, se riuscite ad alzarvi da tavola ancora sobri, vi conviene fare una bella passeggiata, prima che scenda in campo la riserva mentale ed iniziate a rinfacciarvi vecchi torti subiti tra parenti.
Fare sesso inconsulto può provocare gelosie nel partner abituale, illudere quello occasionale, lasciare eredi indesiderati o, nella migliore delle ipotesi, causare una forte infiammazione al polso. 
Non resta che fare dell'ironia e pensare che finalmente è arrivato il momento di utilizzare quei 10 euro falsi che vi hanno rifilato, tanto la tombola la vince  sempre un simpaticissimo bambino che avrà infierito sulla vostra sfortuna al gioco.
Buon 2017 a tutti i lettori del blog! Grazie dei consensi e della fedeltà, quest'ultimo anno siete cresciuti tanto e ne sono felice, ma non vorrei incappare nell'ansia da prestazione adesso. 
Buon anno.

Parafrasando un mio augurio di un paio di anni fa ...

Alle mie figlie.
Ai miei genitori.
Alle mie sorelle, ed anche ai cognati.
Ai miei splendidi nipoti.
Ai miei cugini.
Alle amiche che ascoltano ed a quelle che bacchettano.
Agli amici sfottitori.
Agli abbracci inaspettati, quelli che ti colgono da dietro, che ti proteggono e ti confortano.
Agli amori senza parole d'amore ed ai mille modi per dire 'ti amo'.
Alle risate liberatorie, agli sguardi complici.
A chi sa parlarti per ore senza mai guardare il cellulare, perché nei tuoi occhi ritrova tutto ciò che conta.
A chi si arrabbia e non ci sta.
A chi ha perso il lavoro, ma non la dignità. 
A chi riesce ad essere gentile, nonostante tutto.
A chi sa ridere, ma soprattutto a chi sa piangere.
A chi crede nei cambiamenti, ai coraggiosi ed agli eversivi.
A chi rispetta il dolore. 
A chi soffre e non si lamenta.
A chi sa fidarsi ancora di qualcuno, a chi si fida di me.
A chi ringrazia e non dà niente per scontato.
Agli onesti.
A chiunque ogni giorno impara qualcosa.
A chi mi ha amato senza volerlo,
a chi ha avuto paura di innamorarsi,
ed a chi avrei voluto amare.
A chi amerò per sempre.
A chi si sente sconfitto, senza forze, e vorrebbe mollare, perché non sa che sta solo pagando in anticipo la felicità.


  

martedì 20 dicembre 2016

238. IL GIOCO DELLA VERITÀ

E diciamolo che abbiamo tutti una fottuta paura di rimanere soli! Ed è la paura che ci fa commettere i più grossi errori della vita.
Ridiamo per piacere al pubblico, per paura di essere emarginati.
Scriviamo a chi non ci caga, appigliandoci ad un saluto distratto, nel timore che non capiteranno più nuove occasioni, nuovi incontri. Compiaciamo certi amici poco amici, ma con cui per abitudine condividiamo le 'uscite' del fine settimana.
Trascorriamo gran parte delle nostre serate davanti alla TV o ad un libro, buttando ogni tanto un occhio a Facebook,  celando il nostro reale stato d'animo dietro un selfie. E se ci mancano le parole, condividiamo foto di pietanze e di luoghi visitati. E quando ci capita di realizzare che ci sentiamo soli, quando ce ne rendiamo conto, ci manca il coraggio. Non abbiamo la forza di dire la verità, di ammettere: sono solo.
Così un sabato sera, mentre sorseggiavo la mia bevanda con zenzero e limone, me ne sono fregata di tutto, non ho ceduto alla tentazione di fotografare la mia bella tazza in perfetto stile shabby, nè a quella di farmi un selfie, non ho finto di essere divertita o appagata, ed ho scritto sulla mia bacheca di FB semplicemente cosa stavo facendo, senza edulcoranti. Le reazioni sono state così spontanee che mi hanno sorpresa, ed alla fine ho pensato che le persone ti danno sempre ciò che chiedi: alla semplicità  rispondono con la semplicità, alla rabbia rispondono con rabbia, all'allegria con l'allegria, insomma, siamo sempre noi a decidere cosa prendere dagli altri. Per questo principio, sotto il mio banale post, senza alcuna pretesa, sono arrivati i commenti di chi stava vivendo una situazione analoga, avendo sostituito alla bevanda allo zenzero una tradizionale tazza di latte, o un tè verde, o una camomilla. Che bello! - Mi sono detta - Viva la sincerità! Ecco una delle funzioni più sane di Facebook. Questa è condivisione!
Il giorno dopo, una mia amica, sullo stesso social, ha reso noto a tutti il suo bisogno di compagnia, ha descritto il silenzio in cui si trovava come 'distruttivo'. È stata tremendamente vera. Una sincerità disarmante. Un applauso a tutti quelli che hanno il coraggio di urlare la loro solitudine! La mia amica è stata raggiunta virtualmente da alcuni di noi e spero che altri lo abbiano fatto anche fisicamente, ma se così non fosse stato, se la compagnia fosse rimasta solo virtuale, la mia amica avrebbe vinto comunque, grazie al suo coraggio.
Abbiatelo sempre il coraggio di chiedere ciò di cui avete bisogno, di dichiarare i vostri stati d'animo, i vostri sentimenti, fatelo senza vergogna. Ci sarà chi vi criticherà, e chi vi amerà, ma nessuno potrà dire di non sapere come avrebbe potuto farvi felici.




venerdì 16 dicembre 2016

237. STRUFFOLI E MUSTACCIOLI

Tra una settimana è Natale, il trionfo della retorica e della banalità, ma anche uno dei pochi momenti dell'anno, forse l'unico, in cui siamo autorizzati ad essere più umani, ad abbassare le difese da narcisisti allo sbaraglio, da pseudo trasgressori. Ammetto di amare il Natale, di crogiolarmi in questa celebrazione, in questa prevedibilità.
La vera trasgressione è la normalità! Lo dico spesso in questi ultimi anni. Ed il Natale con le sue tradizioni ed i suoi vincoli familiari è una certezza, è l'unico evento 'normale' di questo nostro tempo. Il calore del rosso, l'eleganza dell'oro e del bianco, l'allegria delle luci, e gli addobbi pacchiani. L'emozione dei bambini, i soliti canti e le solite parole di auguri. Il baccalà fritto, la pizza di scarole, gli spaghetti a vongole, gli struffoli ed anche il pandoro ed il panettone. I sensi di colpa per la quantità di calorie ingurgitate ed il liquore al cioccolato come bruciagrassi. La frutta secca e le tombolate, il mercante in fiera e le urla dei bambini, i roccocò e le dentiere dei nonni. I regali pensati e quelli riciclati, il fratello generoso e la sorella avara, le facce di circostanza e le assenze. I messaggi di auguri inaspettati e quelli attesi invano. La confusione degli amici e la solitudine di chi soffre in silenzio, la malinconia di chi rimpiange un Natale passato e la gioia di chi vive un nuovo amore. È tutto meravigliosamente rassicurante! Quest'anno ho scritto anche io la letterina a Babbo Natale: se proprio la fine delle guerre non è possibile, che non si tocchino i bambini. Via i civili da Aleppo.
Felice Natale.

https://youtu.be/z8Vfp48laS8


mercoledì 7 dicembre 2016

236. C'È CHI DICE NO

E così ho festeggiato. Sì, lunedì 5 dicembre ho brindato a me ed alla Costituzione! Evviva!
Felice per la partecipazione degli italiani al referendum, felice per l'esito e felice perché il Volo smette di cantare. Ah no? Continueranno? Va bene, mi sembra il male minore. Sì lo so, votare per salvare la Costituzione e vedere esultare Salvini stona, ma proprio assai, ma anche in questo caso, chi se ne frega. La Costituzione è salva, a tutela della nostra democrazia e della nostra libertà, questo conta. Quello che mi fa sorridere in questo momento, è la pacatezza dei toni da entrambe le parti. I "vincitori" godono, ma non esageratamente, ed i perdenti soffrono, ma con atteggiamento quasi dimesso. Cosa sta succedendo? Hanno scoperto che le urla e l'arroganza mostrate durante la campagna referendaria non pagano? Gli slogan renziani non hanno funzionato. Ha funzionato, invece, il suo discorso post voto, quasi commovente, umano. Devo dire che mi faceva una certa pena. Del resto ha fatto tutto da solo. Renzi credeva che l'esito del referendum avrebbe potuto legittimare la sua posizione, ha personalizzato una decisione importante, sbagliando clamorosamente. Quello che però adesso può succedere è pericoloso. Nel senso che il Renzi perdente ha quasi più consensi di quello spocchioso, fa tenerezza, ma confido nella sua natura arrogante ed autoritaria che presto riemergerà. A chi dice che il 40% dei sì è tutto per Renzi, non rispondo proprio, mi sembra davvero una lettura da fine di una storia, da chi non si rassegna. La maggior parte degli italiani non ama Renzi, fatevene una ragione. 
Tutto qui, hanno già detto tanto e tantissimo si dirà dopo la decisione del Presidente Mattarella. 
Aggiungo solo che, dopo aver visto ieri Bersani da Floris, ho avuto l'ennesima conferma che nella vita non conta cosa fai, ma come lo fai.



venerdì 2 dicembre 2016

235. MI COSTITUISCO

E lo so, lo so, aspettavate tutti che mi schierassi, che anche io, dopo Topogigio e Peppapig, dopo il Volo, dopo il sindaco di Topolinia, dicessi la mia sul referendum. Sul mio profilo Facebook ho esortato un paio di volte i miei amici a scegliere il NO, in maniera ironica, senza mai entrare nel merito, e l'ho fatto per vari motivi:
1° per stemperare un po' l'atmosfera;
2° non si può avere la presunzione di  persuadere le persone con dei post su FB;
3° quasi nessuno conosce realmente le modifiche della riforma costituzionale, e soprattutto quali esigenze soddisfa;
4° la gran parte dei renziani che voteranno sì, al pari dei berlusconiani che votavano Silvio, si nasconde perché non sa quali motivazioni portare a supporto della propria scelta, salvo ripetere ad oltranza gli slogan del loro beniamino.
Ad onor di cronaca, occorre precisare che anche dal lato opposto non mancano slogan ottusi e deleteri. 
Insomma, anche se Grillo lancia affermazioni e condanne, adoperando espressioni non sempre condivisibili, quando ha consigliato agli elettori di fare una scelta "di pancia", ha solo espresso ciò che accadrà nella realtà: tutti, eccezion fatta per pochissimi italiani, voteranno secondo le proprie simpatie. I renziani si faranno piacere la riforma, fingendo di aver capito tutto, finanche le conseguenze sui mercati internazionali, sugli sviluppi culturali nei prossimi venti anni e sulla classifica del campionato di calcio. Ai sostenitori del NO, più semplicemente, basterà dire che la Costituzione non la possono cambiare dei Renzi e dei Verdini qualsiasi e che la loro è quindi una scelta politica, un modo per esprimere il dissenso nei confronti di questo governo. 
In definitiva, che la riforma (scritta malissimo) accentri maggiormente i poteri nelle mani del governo, è evidente, che poi si abolisca il CNEL non frega più o meno a nessuno, e tutte le altre modifiche possono essere anche ignorate, tanto, la scelta del voto è stata fatta già da mesi e nessuno, tranne qualche elettore estraneo ad ogni tipo di tifo, è disposto ad accettare consigli. Quindi, io la riforma l'ho letta ed ho tratto le mie conclusioni, voto NO, e se vince il SÌ, come molto probabilmente accadrà, mi dispiacerà, ma l'evento non mi impedirà di continuare a scrivere e partecipare.
Comunque vada, lunedì mi dedicherò a me stessa, e che sia per consolarmi, o per festeggiare, berrò champagne, perché alla fine, il 5 dicembre è pur sempre il mio compleanno!



martedì 22 novembre 2016

234. DI COSA STIAMO PARLANDO?


Che noia! Colpa del troppo parlare, del troppo scrivere, commentare. Si finisce per parlarsi sopra, inevitabilmente per contraddirsi, per confondersi. La comunicazione è fondamentale per un'adeguata convivenza, la scelta dell'alternativa più opportuna, il compromesso, sono alla base di un sereno quieto vivere. Semplificando, se vogliamo capire cosa possiamo fare per soddisfare le nostre e le altrui esigenze, dobbiamo innanzitutto capire quali sono queste esigenze, stabilire delle priorità. Sono fondamenti base di economia che trovano facile trasposizione sul piano sociale. Ma come si fa a capire cosa si vuole realmente se nessuno ascolta? Tutti parlano, tutti scrivono, tutti criticano, nessuno più  ascolta, nessuno legge e nessuno accetta di adeguarsi, di seguire un'indicazione. Credo che la causa di questo grande caos nel quale ci stiamo perdendo sia in questa continua ricerca di affermazione da parte di ciascuno di noi. Vogliamo essere tutti protagonisti, tutti prime donne e nessuno è disposto a rivestire ruoli minori. Un bagno d'umiltà, facciamoci tutti un lungo ed intenso bagno di umiltà! Magari mentre ci facciamo anche un bagno in acqua e sapone, che l'igiene è importante, eh! Ricordiamoci che il ruolo secondario non è umiliante, ma funzionale e indispensabile, e non è detto che il ruolo del protagonista sia svolto dal migliore, ma lasciamo che la distinzione ci sia. Ben venga la conoscenza e la partecipazione, l'ho sempre detto e lo ribadisco adesso (resto sempre populista), ma basta egocentrismo e presunzione. Non so da dove abbia avuto origine tutto, se c'entra la TV o di più i social, i talent, o più in generale la velocità con cui si diffondono informazioni in rete, ma questa smania di popolarità, di successo, di affermazione, non è mai stata così forte come in questi anni, come adesso. Un ragazzo che ascolta una canzone delle nuove generazioni di urlatori, nella maggior parte dei casi, non pensa a godersi quel momento, e non perché si rende conto di quanto sia brutto il pezzo, ma prova a capire come riuscire a diventare come quel cantante, si chiede perché non ha ancora fatto qualcosa per arrivare ad incidere un brano. E allora via alla ricerca dei concorsi giusti, delle strade più facili e veloci per realizzare quello scopo. Poi giù delusioni, incertezze, fallimenti o brevi ed effimere glorie. Un lettore che ha tra le mani uno dei numerosi romanzetti di cattiva fattura, mentre legge, acquista sempre maggiore consapevolezza che egli stesso avrebbe potuto scrivere quelle centocinquanta pagine, che sarebbe in grado di raccontarle meglio, e cerca un editore, o pubblica autonomamente ciò che vuole, salvo scoprire poi quanto poco si vendano i libri, soprattutto quelli degli sconosciuti. E lo stesso dicasi di mille altre professioni o di qualsiasi altro ruolo sociale che produca 'notorietà'. Sui social sarebbe bello parlare di politica se non si rischiasse puntualmente di essere offesi da chi la pensa diversamente, e se il confronto non si esprimesse con slogan privi di originalità e quasi sempre non attinenti al post.
Abbiamo perso decenni a convincerci di essere in gamba, di potercela fare sempre e comunque, abbiamo sprecato milioni di parole per accrescere la nostra autostima, ma abbiamo strafatto, abbiamo esagerato, perdendo di vista il vero obiettivo ed il rispetto per gli altri. Il vero obiettivo doveva essere quello di accettarsi per quello che si è, fregandosene del consenso altrui, dei mi piace e del successo. Coltivare le proprie passioni, anche se non condivise.
Magari adesso avremmo bisogno di meno 'motivatori' e più amici, è arrivato il tempo di scrivere un messaggio per tutti i polli che si credono aquile, perché tornino nei propri pollai, con dignità, confusi e felici.



mercoledì 16 novembre 2016

233. DAMMI SOLO UN MINUTO

Guardò la foto sul comodino e le disse: <<Come eri bella qua!>>

<<Non era più di quattro anni fa>>

<<Eri molto bella, sei molto bella>>

<<No, lì lo ero di più. Sai, non è questione di età, di lineamenti, di chili, è questione di amore. E’ sempre una questione di amore: lì ero felice!>>

<<Vorresti dire che adesso, qui, con me, non sei felice?>>

<<Non quanto vorrei, non quanto avrei voluto. E ti giuro che avrei voluto che mi bastassi tu, che mi bastasse che tu fossi qui, ma non è così.>>

<<Ah!>>

<<Non rattristarti, non è il caso.>>

<<E pensare che ero io il più forte, ero io che temevo ti saresti legata troppo a me, e adesso …>>

<<Adesso? Vorresti mica dirmi che mi ami? Nooo, ti prego non farlo.>>

<<Che fai, ridi di me?>>

<<Assolutamente no.>>

<<E allora credimi, fidati di me adesso, e mai più. Io ti ho amata da sempre, ti ho voluta dal primo momento che il mio sguardo ha incrociato il tuo, e non ridere se ripeto frasi fatte o sembro il solito scemo innamorato di te. Tu sei più avanti di me. Io non so parlare come te, non so dirlo diversamente. Io ti ho sempre amata, anche se non lo sapevo, la mia mente non lo sapeva, non approvava, ma il mio corpo non ha chiesto il permesso, il mio corpo non ha ascoltato la ragione e, impavido ed incosciente, ti ha sempre voluta.>>

<<Perché lo dici solo adesso? Perché me lo dici in questo momento? Sbagli sempre tutti i tempi, tu. Non era adesso che dovevi amarmi, non era adesso che dovevi capirlo. No.>>

<<Perché?>>

<<Perché? Hai il coraggio di chiedermelo?>>

<<Sì. Perché?>>

<<Perché adesso non ti amo io.>>

<<Tutto qui? Non ci credo.>>

<<Libero di farlo, io nooon ti A M O. E dio sa quanto avrei voluto amarti, ma non è così. E adesso rivestiti e vai via, vai lontano da me. Non mi cercare, ci faremmo solo altro male>>

<<Adesso sei tu che usi frasi fatte. Sì, me ne vado, stavolta rispetto i tuoi tempi, voglio vedere quanto resisti senza di me.>>

<<Forse non resisterò neanche un giorno, forse già tra un’ora mi mancherai, ma poi passerà. >>

E mentre richiudeva la porta alle spalle, continuò, senza che nessuno potesse più sentirla, sussurrò:
<<Tu mi dimenticherai in fretta, troverai una donna migliore di me, più bella, più giovane, metterai su famiglia e sarai felice. Io starò bene, tranquillo. Vai sbrigati, allontanati da questa casa e vai incontro alla vita, vai a percorrere le strade che io già conosco, a calpestare le foglie che ho visto cadere, a bagnarti le scarpe ed i jeans nelle pozzanghere dei viali poco illuminati, vai ad ascoltare la musica che ho amato, a ballare a ridere ed a commuoverti per una nuova vita che le tue braccia solleveranno fiere. Io fingerò di non amarti, mi convincerò che sia così, sì, ci riuscirò.>>

Si sedette sul pavimento, avvicinò le ginocchia al petto, appoggiò la schiena contro la porta e alzò la testa al soffitto. Tenne gli occhi chiusi per un po’, forse si addormentò, anzi, lo fece di sicuro. Quando si alzò per raggiungere il suo comodo letto, notò che Andrea era ancora lì, non era mai uscito di casa, ed era bello, bellissimo. Pensò che quel dialogo che aveva immaginato, prima o poi ci sarebbe stato, ma sperò che sarebbe stato il più poi possibile. Si stese accanto a lui che dormiva sul fianco destro, gli baciò la schiena, svegliandolo, lui aprì gli occhi, si voltò a guardarla e le sorrise, poi rivolse lo sguardo al comodino e disse: <<Come eri bella qua!>>
Marzia capovolse di scatto la cornice coprendo la foto e lo baciò, lo baciò e lo baciò, e rise, rise fino alle lacrime e lui con lei.



mercoledì 9 novembre 2016

232. SONO POPULISTA

Ha vinto un uomo brutto, rozzo, volgare, razzista, maschilista. Ha vinto Donald Trump. OK.
Ma ha vinto la democrazia. Ha vinto l'istinto e la rabbia. Ha vinto il disincanto.
Ha vinto la voglia di scegliere, di non subire, di farsi sentire, come con la Brexit. Come con il Movimento 5 Stelle. 
Ha vinto il popolo. Ha vinto chi si è stancato di essere solo usato, deriso, ingannato. E la colpa è di chi con supponenza ha sempre accusato il popolo di ignoranza, o di stupidità. 
Fino a quando ci sguazzavano nell'ingenuità dell'elettore, andava tutto bene, fino a che l"utile idiota' era inerte e credulone, fino a che restava in casa davanti ad una TV, o a fare acquisti nei centri commerciali, andava bene, assolveva ottimamente alla sua funzione. Adesso che il segnale UMTS penetra le orribili barriere architettoniche dei mostruosi centri commerciali, adesso che anche dal divano di casa si legge, ci si informa, che ognuno vuole e può dire la sua, su qualsiasi argomento, cresce la voglia di mostrarsi, di farsi notare, di partecipare. E questa è la libertà, la partecipazione. 
Allora cosa fare per evitare che questa ondata di esibizionismo non sfoci in eccesso di autostima, in presunzione, totale assenza di autocritica?
Bisogna non sottovalutare nessuno, mai! Non bisogna snobbare il popolo. Bisogna aver rispetto per tutti e condividere la visione del futuro: progettare insieme un ambiente più sano, lavorare per il bene comune.  Bisogna collaborare per crescere insieme culturalmente, per imparare ad apprezzare e desiderare il bello, bisogna che i politici si impegnino per riacquistare la stima dei cittadini, e l'impegno deve esprimersi nella corretteza, nella lealtà, nella trasparenza delle azioni e non con gli slogan. Allora sì che il popolo si sentirà rappresentato e si fiderà di un leader voluto dalla maggioranza ma riconosciuto da tutti, eletto e non imposto.  
Oggi ha vinto la democrazia, ha perso l'oligarchia che, ahimè, checché ne dica il vecchio Scalfari, non sono la stessa cosa.
Chi rispetta può esigere rispetto, ma fino a che per offendere si usa l'espressione 'populista', mi sa che non accadrà nulla di buono.




domenica 23 ottobre 2016

231. OBIETTORE O CARNEFICE?

Dopo quanto è accaduto a Catania nei giorni scorsi, nel reparto di ginecologia dell’ospedale Cannizzaro, si è sollevata nuovamente la questione dell’opportunità della presenza dei medici obiettori di coscienza negli ospedali. Anche se la morte della giovane Valentina potrebbe non essere attribuibile all’inerzia del medico obiettore, la vicenda ha dell’assurdo. Vi dico la mia.
Dieci anni fa ero una giovane donna all’inizio della seconda gravidanza, felice, ottimista e piena di aspettative verso il futuro, ero convinta che la vita avrebbe continuato a regalarmi gioia e fortuna, come aveva fatto fino a quel momento. Nel luglio del 2006, quindi, non ero per niente in ansia quando mi sono recata in ospedale per effettuare l’amniocentesi, sarebbe stata una formalità. Mentre attendevo il mio turno e chiacchieravo amorevolmente con le altre donne in dolce attesa, ho appreso che una di loro era lì ad insaputa del ginecologo che la stava seguendo. “Sai com’è?” mi ha detto, “il mio ginecologo non è d’accordo, non vorrebbe che io facessi questo esame, è obiettore di coscienza lui”. “E quindi?” le ho chiesto, “cosa ti importa? Cambia medico. Lavora in un ospedale ed è obiettore di coscienza?”. Lei mi ha messo a tacere mettendomi una mano sul braccio, mentre alzava la testa in segno di saluto “Buongiorno dottore!”, proprio in quel momento stava attraversando il corridoio un tipo occhialuto e scuro di capelli che, con un sorriso di convenzione, rispondeva al saluto. Intuendo che si trattasse del suo ginecologo, armata di coraggio e spirito ribelle che da sempre mi accompagna, gli ho detto “Ah, bene. Lei è il dottore che segue la signora, e che non vuole che lei faccia l’amniocentesi.” – “Certo!” mi ha risposto e, scappando via, con il classico sorrisetto da vigliacco, ha pronunciato qualcosa di mostruoso: “Mica vogliamo uccidere i bambini?”. Sono rimasta di pietra, avrei voluto insultarlo, dirgli quanto fosse stato violento ed irritante il suo atteggiamento, ma non ne ho avuto la forza. Mi sono limitata a fissarlo con sguardo di compassione impegnandomi a distrarre la sua paziente; ho cercato di trovare altri argomenti, perché non si rattristasse, ho provato a farla sorridere con una battuta, e poi gliel'ho detto: “Cambia medico, è una brutta persona.”

Caro il mio dottore, che prendi soldi a nero nel tuo studio, che induci le donne a scegliere il cesareo per fare presto e prendere più parti in un giorno, e poi beccarti la mazzetta per ciascuno di questi; caro dottore che nelle cliniche private pratichi interventi di vario genere a costi elevati, che non rispetti etica e dolore, che paragoni una madre che sceglie di abortire, nel rispetto della legge, ad un assassino, sei un vile, arrogante e penoso carnefice. Sei tu che ti accanisci con chi è più debole, che non hai rispetto per nessuno. E sai perché? Perché forse non sai che una donna si sente già madre da quando scopre di avere un ritardo, una donna sa già di avere un figlio in grembo, prima ancora che il test le dia la risposta, e per questa donna la scelta di un aborto è comunque una scelta devastante. Perché decidere di non mettere al mondo un figlio è una scelta che si paga per tutta la vita, con la propria vita. Quando si decide di mettere al sicuro il proprio figlio da una vita di rinunce, di derisione, di emarginazione, di sofferenze fisiche o di mille altre torture, lo si fa per proteggerlo, decidendo di soffrire al suo posto. Decidendo di farsi carico di una scelta dolorosa. Perché dopo un aborto un piccolo cuore smette di battere solo per la medicina, ma continua a battere nel cuore della mamma per sempre.


domenica 16 ottobre 2016

230. MISTERO BUFFO

Giorni fa parlavo con un amico del suo isolamento forzato dai social, e del tentativo di disintossicazione. In realtà è stato un tentativo, mal riuscito, e neanche tanto convinto, di breve durata e direi anche parziale. Non è stato un reale isolamento perché il mio amico non scriveva nulla, ma leggeva, non commentava, ma osservava.  In pratica, ha fatto quello che fa abitualmente la gran parte degli iscritti ai social più famosi (Facebook e Twitter). Dedicandosi esclusivamente all'analisi di quanto accade, senza partecipare attivamente, senza lasciarsi trasportare dalla voglia di contestare, o di elogiare, notando da subito la caratteristica che accomuna gli opinionisti di sto web: l'incoerenza. Siamo tutti incoerenti, in perenne contraddizione con noi stessi. Tutti, chi più e chi meno. L'incoerenza, in fin dei conti, se intesa come cambiamento, come emancipazione, è da intendersi positivamente, solo gli stupidi non cambiano mai idea, si sa. E' anche vero, però, che laddove l'incoerenza si esprime con numerose contraddizioni, probabilmente dovute alla disinformazione o all'assenza di un pensiero proprio, risulta ottusa e fastidiosa. Di fronte a questi eventi, se volessimo stabilire il grado di incoerenza che sancisce il confine tra evoluzione critica e superficialità, dovremmo impelagarci in analisi troppo meticolose, e quindi, come sempre accade, decidiamo di andare a sensazioni, ci affidiamo al criterio emotivo.
In questa settimana gli spunti sono stati tanti, su tutti, la morte di Dario Fo ed il nobel per la letteratura a Bob Dylan. Tralasciando tutti i finti adulatori dell'ultim'ora, quelli che seguono la moda, che se gli dici che è morto Topolino, lanciano post al grido di RIP, tra una citazione ed un'altra, ci sono quelli che, mediamente informati, iniziano ricerche sul web per farsi un'idea di chi fosse il defunto.
Dario Fo è stato celebrato da quasi tutti, quasi. E' stato capace di suscitare polemiche anche dopo la morte, come è accaduto per gran parte della sua vita. Lo celebrano tutte le grandi testate giornalistiche, ad eccezione di qualcuna, e viene da chiedersi il perché. Perché "il Giornale" pubblichi in questi giorni tutti pareri negativi sull'artista varesotto (nato a Sangiano per la precisione): le critiche mosse a suo tempo dalla Fallaci e, soprattutto "l'odio per Calabresi". Adesso, premesso che Sallusti non ha goduto mai per un attimo della mia stima, mi chiedo che senso abbia, nel giorno dei funerali di stato organizzati per la dipartita del premio nobel, definirlo "penoso", disumano ed estremista. Se Sallusti crede che sia necessario tirare in ballo la questione Calabresi, per dimostrare che Dario Fo non fosse meritevole di elogi si sbaglia. Nel periodo storico in cui Fo sottoscrisse il manifesto che fomentava l'odio verso Calabresi, che portò al suo assassinio, era tutto eccessivo, furono fatti molti errori, ma non è questo il luogo, e neanche ne sarei in grado, di analizzare quel contesto e quella parte di storia italiana tanto amara. Ritengo del tutto ingiustificati questi articoli, non solo perché offendono la memoria di una grande persona, ma anche perché accusano di codardia Mario Calabresi. Vorrebbero tacciare di incoerenza il direttore de la Repubblica, accusarlo di aver addirittura rimosso quanto accaduto in passato, di non essere stato onesto nei confronti del padre, consentendo l'ampia celebrazione di Fo sul suo giornale. Io invece dico: ben venga questa incoerenza! E non è forse un mistero perché Sallusti abbia perso un'altra occasione per tacere. Forse, a voler essere onesti, c'era una via di mezzo, quella scelta da Travaglio, che non è certo un buonista, ma questa volta ha messo opportunamente da parte le polemiche e, senza ignorare alcuni eventi, ha reso omaggio al giullare più libero dei suoi contestatori.

https://youtu.be/9EdIFECzTVE



venerdì 30 settembre 2016

229. TI AMERÒ PER SEMPRE, MA ANCHE NO.

Ho scelto di aprire un blog, poco più di tre anni fa, perché mi piace scrivere di me, delle mie idee, degli eventi strani della vita, che poi così strani non sono mai. Mi piace raccontare emozioni e confrontarmi, come faccio da sempre tra me e me, tra Maria e Vittoria, un nome quasi profetico, espressione di un eterno conflitto interiore, frutto della consapevolezza che non esista una reale dicotomia tra tra bene e male, tra conformismo e trasgressione.
E così, scrivo. Scrivo
 perché mi fa bene, aiuta a schiarirmi le idee e, come quando ci si racconta ad uno psicoterapeuta, mi aiuta a definire le mie priorità, quindi, a scegliere. E scelgo, come tutti, ogni giorno, ogni momento della vita, anche quando sembro subire le decisioni altrui.
Da quando ho aperto il blog, maggio 2013, ho ricevuto molti consensi, qualche critica e tante manifestazioni di stima e inaspettato affetto.
Ho raccolto qualche confessione che mi ha portato a stare dall'altra parte, quella di chi ascolta. E allora ho avuto la conferma che la condivisione, nella sua più tradizionale accezione, non esclusivamente virtuale, è la migliore cura al mal d'animo. Raccontare per infondere coraggio, per ricordare che non siamo soli, perché magari così impariamo a perdonarci.
Negli ultimi giorni ho ricevuto una confessione struggente, vera e passionale. La narratrice è una lettrice del blog che mi ha chiesto di pubblicare, necessariamente in forma anonima, la sua esperienza, ed io le ho promesso che l'avrei fatto. Per lei, per me e per chiunque abbia bisogno di sentirsi meno solo e di amarsi un po' di più
.



**************


Qual è il momento storico in cui, noi donne, abbiamo iniziato ad avere bisogno continuo di conferme? E di conferme da parte degli uomini? Mi raffronto continuamente con mia madre, una donna di ottant'anni, sposata da sempre con mio padre, madre di due figlie. La vedo una donna semplice, che non si è mai chiesta tante cose, che ha vissuto come le aveva insegnato mia nonna, con il solo esempio perché prima, non si parlava tanto. E come lei, tante altre donne della sua generazione, del suo mondo, della sua cultura sociale. Forse il momento storico a cui penso io, è coinciso con il cambiamento della posizione di donna. Non più solo figlia, non più solo moglie, non più solo madre. Non più regina di quattro rassicuranti, onorevoli, curate, mura domestiche. Forse è stato quando abbiamo deciso di uscire fuori, di cercarci, di trovarci, magari a scuola, all'università, in un ufficio, in uno studio, in un’autonomia economica, mentale e fisica, alla quale forse non eravamo ancora pronte. E che ancora non ci basta, per farci capire cosa siamo. Non ci basta sentire noi stesse parlare di argomenti importanti; non ci basta  guardare noi stesse mentre ci confrontiamo con gli uomini, sul lavoro, magari in settori che erano di loro esclusiva pertinenza. Non ci basta guardarci allo specchio e compiacerci, perché i nostri 50 anni non sono quelli delle nostre mamme, a volte poco attente alla loro cura perché prese dalla famiglia, o semplicemente perché assecondavano il trascorrere del tempo, lasciando vincere i segni che il tempo stesso lasciava su di loro. Deve essere per forza così. Non siamo ancora abbastanza consapevoli. Perché basta uno stronzo sul nostro cammino per destabilizzarci, per disorientarci, per farci perdere l’autostima e la dignità, dedicandoci devotamente a lui, come la più addomesticata delle geishe. Questa è la mia storia. Infanzia? Normale, semplice. Padre autoritario, madre ferma, decisa, con tante responsabilità. Una sorella. Quella che tutti vorrebbero, anche se non sempre. E poi i nonni, i cugini, gli zii. Una classica famiglia dei miei tempi. Ah, dimenticavo, tra pochi giorni compio 48 anni. Adolescenza? Normale. Problematica come per tutti. Tanti amici, la scuola, un fidanzatino per dieci anni. E poi il liceo, l’università e il lavoro a 25 anni. Storie? Qualcuna. Tutte belle, confuse, caotiche, devastanti e chiuse. Normale. E poi il matrimonio, a 28 anni. Voluto, deciso in poco tempo, contro tutto e tutti. E una figlia due anni dopo. Il mio matrimonio? Affrettato, troppo. Ha funzionato male da subito, almeno per me. Ci stavo stretta, mi sentivo a disagio, non era quello che avevo desiderato. Non volevo un matrimonio, volevo solo la libertà di uscire dalla casa di mio padre. E io, moderna, discretamente colta e con idee liberali, ho pensato che il matrimonio fosse la sola maniera che mi veniva concessa. L’unica che mi sono concessa. Alla faccia dell’emancipazione! Ma è durato quasi un ventennio. Tra bassi e medi, gli alti non si sono mai toccati, ma è durato. Lui è sempre stato paranoico, ossessivo, compulsivo. Io esistevo solo dal momento in cui lo avevo incontrato. Il mio passato era vergognoso, non doveva essere nominato, era geloso persino dei miei amici. Dimenticava che si era innamorato di me per quella che ero, cioè la somma e la sottrazione delle mie esperienze passate. Per tranquillizzarlo, avevo cancellato in un sol colpo, tutti i miei ricordi materiali, gettando nella spazzatura lettere, bigliettini, foto, cartoline, di 28 anni di vita. Che stupida! Da allora gli ho solo consentito di alzare il tiro con le sue pretese. Ma forse è stata colpa mia. Non gli ho mai dato la tranquillità necessaria per fidarsi di me. Oppure, forse, lui non si sarebbe fidato comunque. Avevo perso autostima e sicurezza in quel rapporto, soprattutto sulle mie capacità relazionali, e per lui avevo rinunciato a frequentare i miei amici del liceo, incrollabile sicurezza della mia adolescenza e oltre. Avevo accettato di frequentare i suoi amici della Napoli bene (che ipocrisia dietro questa definizione) con i quali avevo ben poco in comune. Ma soprattutto non avevo in comune con loro la mia unica passione: i libri, la lettura. Sono andata avanti tra momenti di insofferenza totale e momenti di tranquillità, vissuti insieme a Daniela, la mia unica figlia. Già, unica. Non doveva essere unica, perché ne ho sempre voluti, io, di figli. Ma la sua paranoia e gelosia assurda (periodicamente si intestardiva sul mio amante di turno), mi ha portato a rinunciare, dieci anni fa, alla mia seconda gravidanza. Avevo appena avuto un nuovo posto di lavoro, dopo un licenziamento per ridimensionamento, chiaramente a carico delle sole donne. Lavoravo per un’azienda di Bologna con una sede a Napoli. Avevamo cambiato per l’ennesima volta casa (quattro in diciott'anni di matrimonio) ed avevamo anche stretto di più con una coppia dello stesso gruppo di amici, ma più vicini a me per interessi. Lui soprattutto, una bella mente, un uomo intelligente e, mi si perdoni la definizione politically incorrect, molto poco meridionale. Secondo mio marito, era quello il mio amante di turno. Colpevole un messaggio assolutamente innocente, trovato sul mio telefonino. Risultato? Un incontro stile siciliano con il rivale, una figura ridicola, che ha causato l'allontanamento dei due amici. Gli comunico che aspetto un altro figlio e lui, dopo aver detto che era impossibile, mi gela con un messaggio inviato a mezzanotte. Avevo rimosso questo ricordo e salta fuori ora, adesso che sto provando a raccontarlo. Era in primavera, aprile del 2005: l’azienda mi aveva convocata a Bologna d’urgenza per il giorno dopo. C’era da licenziare un dipendente a Palermo, un dipendente della filiale che gestivo e che era stato scoperto a rubare nel periodo precedente alla mia assunzione. Non c’erano treni e voli diretti, eravamo nelle vacanze di Pasqua, ma ero riuscita comunque a trovare posto sull'aereo da Roma a Bologna mentre a Roma ci ero andata in auto, con un amico del liceo, che mi avrebbe ospitato a casa sua. E a mezzanotte, dopo uno scambio di messaggi assurdi, mi arriva quello che mi segnerà a vita. “Ho capito, tu stai male perché non sai nemmeno di chi è questo bambino”. Il bambino, ovviamente suo, avrebbe compiuto 11 anni a dicembre prossimo. Lo so, lo so, è stata colpa mia. Dovevo tenerlo e cacciare lui di casa. Ma come avrei fatto? Da allora è stato un lento sgretolarsi di tutto. Di tutto. Era diventato sempre più un estraneo, una cosa da tollerare. Un po’ alla volta si erano ridotte le conversazioni, erano aumentati i silenzi. Cose in comune? Sempre di meno, complice il fatto che avevo ripreso a leggere, in maniera compulsiva, come facevo nella mia vita precedente. Leggere era il mio viaggio con la mente. E poi era finita l’intimità. C’è chi ipocritamente dice che il sesso non è importante. Per me è fulcro del sistema complesso di una relazione. E’ dividere e condividere sé stessi con l’altro. E’ la forma più alta di comunicazione: la fusione di due esseri. Ed è allora che, come se non bastasse, e come ovviamente succede nei momenti di massima fragilità di una donna, arriva lui. Il mio stronzo. Sì, perché ognuna di noi ne ha uno, se è fortunata, nel proprio curriculum. A volte è il marito, a volte è il compagno, ma molto spesso è l’amante. Amante. Gli diamo, ci diamo, questa definizione splendida. Colui che ama. Un participio presente di puro sentimento. E ogni azione si svolge nel presente, in un “adesso e qui”; non proviene da un passato e, spesso, non ha aspettative per il futuro. Oppure sì. Ma certo che sì. Perché se lui è amore, sentimento e passione, ce le hai, eccome, le aspettative per il futuro. Sono nata ad ottobre, un mese di cambiamenti climatici, e ad ottobre l’ho incontrato. Maledetto ottobre. Ormai ero convinta che l’amore esistesse solo nei racconti, nei libri, negli occhi dei miei genitori e di poche altre persone che conosco. Negli occhi del mio cane, negli occhi delle mamme che guardano i propri figli. E invece ho visto lui. Mi sembravi altissimo, quando hai varcato la porta della sala, dove avresti dovuto presentare il tuo libro. Avresti dovuto, perché per me quella sera, c’erano solo i tuoi sguardi, abbastanza eloquenti, i tuoi sorrisi e quel racconto inedito, lo stesso che mi fece commuovere l’anno prima. Alla fine del quale mi stringesti il braccio, forse perché ti eri accorto della mia emozione o semplicemente perché fai così con le tue lettrici non proprio bruttine. E poi sono iniziati i messaggi, prima impersonalmente nella posta del social network che ci ha fatto conoscere, e poi sul più personale cellulare. “Ci sono viaggi che pesano più di altri”, mi scrivesti, la mattina che ti accingevi ad iniziare un giro di promozione del tuo ultimo scritto. Era così. Proprio così. Mi hai voluta vedere, al rientro di uno dei tuoi soliti viaggi, dopo pochi giorni dalla nostra conoscenza. E io non aspettavo altro. Mi hai abbracciata e baciata, nel mezzo di un panoramico piazzale, ed io ti ho lasciato fare, senza curarci degli occhi estranei che potevano vederci. E hai continuato a farlo in quel bar con la saletta superiore, fatta apposta per chi vuole stare in intimità. E poi hai voluto fare l’amore con me. E io non aspettavo altro. Lo avevamo già fatto, con gli sguardi e i gesti, quella domenica mattina in teatro. Non ricordo nemmeno più perché eri lì, ricordo solo che mi facesti spostare perché, da dove ero, non riuscivi a vedermi. Mi dicesti lo stesso a Torino, al salone del libro dove sfidando tutti, dovevo esserci, per l’altro libro, quello che io considero mio. “Fammi vedere dove ti siedi così ti guardo”. E ti girasti verso di me quando mi sentisti ridere alla battuta della tua simpatica presentatrice e quando io ti chiesi, qualche giorno dopo, se avessi riconosciuto la mia risata, mi rispondesti: “Io ti riconoscere al buio e dovunque”. Ricordo tutte le date, sai, tutti i posti. Perché l’unico modo che ho per convincermi della tua esistenza, è ricordare. Ricordi quando sei stato a Montecarlo? Ci siamo incontrati al tuo ritorno nella nostra tana e quando mi hai visto mi hai sollevato in braccio, sembravi felice. E quando sei tornato da Bergamo? “Sono già in strada, quanto ci metti a venire da me?” E io sempre pronta, l’ennesima bugia a mia figlia e via di corsa da te. Sempre pronta ogni volta che tu potevi. Sempre pronta io a telefonarti e a cercarti. La mia disperazione più grande è che ti credo ancora, quando dici di amarmi. E quando mi mandi un bacio, ci credo che è vero. E nel frattempo? A casa mia iniziava l’inferno. Quello vero.
Nel mio cassetto della biancheria intima, conservavo una sua foto, quella del mio amante, insieme a due suoi racconti inediti, che potevo avere solo perché me li aveva dati lui. E il paranoico, in una delle sue perquisizioni, trova tutto. E mi aspetta al varco. Ricordo ancora la sua espressione di godimento quando è entrato nella stanza di mia figlia, allora sedicenne, per dirle: “Io e tua madre ci separiamo perché lei scopa un altro!” E da quel momento, 10 ottobre 2014, per ogni singolo giorno, senza pausa, ogni volta che rientrava dal lavoro fino al momento di andare a letto, era uno stillicidio di accuse, molestie, offese, illazioni, parolacce. C’era o non c’era mio figlio, per lui era lo stesso. E se provavo ad andarmene di casa, per scappare dai miei genitori, mi chiudeva la porta a chiave. E se provavo a telefonare a mio padre, a mia sorella, ai carabinieri, per chiedere aiuto, tirava via la spina del telefono dal muro. E io mi chiudevo in camera da letto a piangere e urlare. A cercare l’altro, a scrivergli messaggi disperati. A chiedere aiuto. Non so più quante foto ai miei polsi lividi per le sue strette, delle mie braccia rosse per i pugni, che ho fatto e che conservo nell'archivio del mio cellulare. Finché un giorno ho trovato il coraggio. Era un sabato mattina e io ero pronta per la spesa. Sull'arco della porta quello che allora era mio marito, mi saluta dicendo: “Non fai gli auguri al tuo ex amore?” Resto perplessa e all'improvviso realizzo che quel giorno, era l'onomastico di quello che lui considerava il mio primo amante. Assurdo, vero? Non potevo sopportare più nulla. Chiedo al mio avvocato di mandargli la richiesta di separazione, pensando così, che davanti alla mia determinazione, la smettesse. E invece le violenze verbali sono aumentate, sono arrivati gli spintoni, i pugni e gli schiaffi. Mi difendo ovviamente, la mia disperazione mi ha fatto trovare una forza fisica insospettata di reagire agli attacchi, facendogli male. Ma era tutto inutile.
Qualche giorno fa ho dovuto occuparmi delle trascrizioni delle registrazioni che avevo l’abitudine di fare, di queste litigate interminabili. Dovevo fornirle ai Carabinieri a corredo della denuncia per percosse fatta circa un anno fa. Mi sembrava fossero passati anni, ma l’incubo e il terrore mi hanno assalito, come se fossi ancora a casa con lui. E ho rivissuto le paure che provavo, quando calava la sera e si avvicinava il suo rientro a casa.
Il momento culminante è stato quando mi ha esclusa dall'organizzazione delle vacanze estive, ed  è partito da solo con mia figlia per la Sardegna. Nel suo immaginario malato, io avrei accettato di andare con loro. Pazzo! L’otto agosto si preparavano per la partenza. Io spettavo con calma che uscissero dalla porta. Ho messo i miei vestiti in una valigia, sono andata all'ufficio postale e con un telegramma gli ho comunicato che avrei abbandonato la casa coniugale per impossibilità di proseguire la convivenza, comunicandogli il mio nuovo indirizzo. Ho vissuto due mesi dormendo sul divano dei miei, con i vestiti nelle borse perché non volevo mettere radici. Il 20 ottobre 2015 ho denunciato l’ennesima aggressione verificatasi pochi giorni prima - ne porto ancora i segni - e il 1° novembre mi sono trasferita nella mia nuova casa con mia figlia. Sacrifici enormi, un prestito in banca, ma la mia tana è pronta. Il 3 marzo di quest’anno abbiamo firmato una consensuale trasformando il mio ricorso per separazione giudiziale, ma dal 1° novembre non ho ricevuto un euro per il mantenimento di mia figlia. Viviamo con il mio stipendio di circa 1000 euro al mese, in due, con l’aiuto dei miei genitori, perché il fitto di 600 euro mi porta via quasi tutto. Ma quando chiudo la porta di casa, dietro ci siamo solo io e Daniela.

E allora? Ne sono uscita? No. La mia storia malata è l’altra, quella con te, mio amato amante. Perché lui ha capito, ha saputo. Glielo hanno detto. Ed è iniziato l’inferno. E lo sto vivendo tutto io questo inferno, per tutelarti. Un inferno che tu non puoi nemmeno immaginare. Ti ho detto che sarebbe stato tutto più semplice se avessi giustificato la separazione confessando che mi sono innamorata di te. Ma taccio per te, per evitare lo scandalo, perché tu sei diventato sempre più famoso, sempre più apprezzato. Tu avevi una compagna, con la quale dividevi il tuo lavoro di scrittore, la casa e nient’altro. Non i figli, perché quelli sono tuoi. Ho detto avevi, perché ad un certo punto della nostra storia, l’hai sposata e lei ha smesso di essere compagna, per diventare moglie. Senza dirmelo, ma continuando a vedermi, fino a raggiungere la perversione di fare l’amore con me, due giorni prima del matrimonio e, ancora, al rientro dal “viaggio di nozze”. Quando l’ho scoperto avrei voluto ucciderti. Ma mi hai implorato di non lasciarti, perché avevi bisogno di me, che c’erano motivi che non potevo capire, che ero la cosa più bella che ti era capitata negli ultimi 5 anni. E sono rimasta. Ed è passato quasi un altro anno, tra momenti di delirio per la distanza e l’impossibilità di vederci e sentirci, e momenti stupendi, di tenerezza, dolcezza e passione. Alti e bassi, ma la consapevolezza e il terrore di non riuscire a fare a meno di te, andavano di pari passo con i dubbi e i sospetti su di te. Sì perché tu sei quello che le tue amiche, quelle del tuo ambiente, definiscono un “seriale”. Uno di quelli che gioca con le donne, grande affabulatore, affascinante oratore e con lo sguardo magnetico. Il mio sesto senso inizia a non farmi dormire. A farmi chiedere: perché? Perché ora che sono libera c’è sempre meno tempo per me? Divento maniaca e ossessiva, come lo era il mio ex marito, e lo capisco. Ah se lo capisco! E poi un giorno vedo lei. L’ennesima manifestazione dove andavo per vederti anche solo un attimo, per capire dai tuoi occhi se ero sempre lì, in fondo al tuo cuore. Ma vedo lei, da sola, a disagio in un ambiente non suo. Riconosco in lei i sintomi che avevo io, agli inizi. O forse no, perché, agli inizi, eri tu a portarmi con te. A farmi entrare in un ambiente in cui poi, non mi sono mai più sentita a disagio. Neanche quando c’era lei. Anzi, mi divertiva il confronto. Perché lei è brutta, sgraziata, sciatta. L’ho rivista il giorno dopo, altra presentazione, era seduta in prima fila, quasi di fronte a te. I particolari non servono, serve sapere che stavo scoprendo che esisteva l’amante dell’amante. Il baratro, il fondo, il pozzo, l’abisso più nero. Chi sei tu, allora? Chi sei? Cosa hai fatto di me? Cosa mi hai fatto? Cosa ti ho lasciato fare? Ma, soprattutto, perché? Non era semplice chiudere la nostra storia? No, perché non vuoi perdermi. Ma vuoi la libertà. La libertà di fare quello che vuoi e quando vuoi. “Ti prego, non buttiamo via questa cosa. E’ una cosa bella”. E io? L’unica cosa che so, è che la mia autostima è finita. Devo uscire da questa dipendenza. Devo uscirne prima che succeda l’irreparabile. Devo gestire la rabbia che ho verso di lui e verso di me. Ho iniziato una terapia psicologica, ma ho tanto bisogno di parlare di questa storia. E vorrei fare in modo di avvertire le falene, che tutto questo brucia irrimediabilmente. E che poi, poi si smette di vivere.


lunedì 19 settembre 2016

228. FATTI MANDARE DALLA MAMMA A PRENDERE IL LATTE

Gianni Morandi si è fatto fotografare mentre usciva da un supermercato la scorsa domenica, e questo ha provocato le critiche di alcuni ignoti difensori del nulla, quelli della polemica ad ogni costo. Il cantante si è pentito ed ha promesso di non andare a fare più la spesa di domenica.
E certo, perché a Gianni Morandi probabilmente non cambia nulla se la spesa la può fare solo in determinati giorni, a determinati orari, ma a molti altri sì.
Vorrei far presente a quelli (per fortuna pochissimi) che portano avanti questa tesi dell'inutilità dell'apertura prolungata dei supermercati, che una delle più recenti conquiste di civiltà nel nostro contraddittorio e ipocrita Paese, è proprio legata all'estensione dei tempi di apertura dei negozi.
Gianni Morandi può pure accettare il ricatto per fini pubblicitari, o semplicemente perché a lui non importa nulla, perché ha chi può farla per lui o può pagarsi un ristorante in ogni momento, ma ci sono svariate categorie di lavoratori che hanno tratto giovamento dall'apertura domenicale dei supermercati che, guarda caso, in quel giorno, sono sempre affollati.
Medici, infermieri, casellanti, operatori di call center, negozianti, addetti alle pompe di benzina, hostess e steward, agenti di pubblica sicurezza, e chi più ne ha più ne metta, tutti turnisti a servizio della collettività. Vi piace leggere "aperto 24 ore su 24"? E allora sappiate che se potete andare al cinema la domenica, se potete andare ad un pronto soccorso, se potete chiamare un call center solo perché la connessione dati è leggermente rallentata, è perché ci sono persone che lavorano anche di domenica, anche nei festivi e lo fanno senza lamentarsi. Lo fanno perché è il loro lavoro e non hanno maggiorazioni, perché spesso i turnisti non hanno maggiorazioni, ma hanno la possibilità di godere di uno, o due giorni liberi durante la settimana, e se la domenica mattina, dopo aver terminato un turno di lavoro notturno, hanno la necessità di fare la spesa, devono avere la possibilità di farlo. 
Insomma, i supermercati devono restare aperti anche di domenica, i dipendenti faranno turni per cui non capiterà sempre allo stesso di essere impegnato in un giorno festivo. Capita anche poi, che le madri siano agevolate, e se non lo sono, trovano la collaborazione dei colleghi liberi da vincoli familiari. Inoltre, l'ambiente di lavoro per molti costituisce un rifugio dalla noia e dalla solitudine, gli stessi dipendenti, quindi,  in molti casi apprezzano il lavoro nei festivi. Un supermercato svolge una funzione sociale, divenendo luogo di ritrovo per anziani lasciati soli dalle famiglie, per single in cerca di nuove amicizie, per chiunque voglia condividere un momento della giornata con altre persone. Insomma, non vedo alcun motivo per invocare la chiusura dei supermercati di domenica, anzi, mi piacerebbe che iniziassimo a pensare che certi vincoli, certe limitazioni, non fanno altro che accentuare l'emarginazione e la classificazione sociale.
E poi, scusate se è poco, ma anche Morandi avrebbe avuto una chance in più con la sua fidanzatina, se avesse potuto andare a comprare il latte con lei anche la domenica!



giovedì 8 settembre 2016

227. PROTEGGERSI DA RAGGI

E una mattina ti svegli, e non ci sono più problemi. Non ci sono più terremoti, resi più paurosi e distruttivi da un'edilizia inadeguata, non ci sono più costruttori ed amministratori corresponsabili di quelle morti. In Italia non c'è più l'immigrazione mal gestita, ed  i centri di accoglienza su cui lucrano gli stessi "ospitanti". In Italia non c'è più disoccupazione, non ci sono più poveri. Non ci sono più privilegi politici e clientelismo. In Italia non c'è più la mafia, la camorra, sono solo idee per produzioni cinematografiche o letterarie. Non c'è malasanità e mancanza di controllo sui fondi destinati agli ospedali. Non ci sono dipendenti pubblici fantasma, non c'è corruzione e governi consenzienti. Non ci  sono violazioni di diritti. Ed è strano che in questo Paese, con questa situazione idilliaca, non si facciano più tanti figli. Forse sarà perché ci sono donne ignoranti che non sanno che non si è più fertili dopo una certa età, che non sfruttano questo momento storico pacifico e sano. Del resto, l'unico problema qual è? La sindaca Virginia Raggi! E perché? Ancora non hanno trovato un motivo valido, ma ci stanno provando. L'unico problema di questa nazione è una donna. Incredibile. No, non è che il Movimento che rappresenta rischia di far cadere un mare di privilegi, che prova a risvegliare gli italiani a farli partecipare alla vita politica, no, non è questo. Attualmente il problema in Italia è solo Virginia Raggi. Magari anche perché non ha contribuito alla crescita demografica del Paese, perché appartiene a quella schiera di donne che non hanno come prima aspirazione la maternità. Chissà! E allora lo senti sulla pelle questo stato di paura, questo terrore che hanno negli occhi tutti quelli che quotidianamente si avvantaggiano del più diffuso malcostume italiano: il clientelismo. Qui si vive di favori. E lo stato si regge su qualche centinaia di migliaia di piccoli eroi. 
Insegnanti che lavorano in strutture fatiscenti, talvolta molto lontane da casa, sprovviste di strumenti lavorativi, ma anche di beni di prima necessità. Medici ed infermieri che lavorano in ospedali abbandonati a se stessi, che fanno salti mortali per aiutare i pazienti. Impiegati comunali che producono. Liberi professionisti onesti. Poliziotti attivi e incorruttibili. Imprenditori coraggiosi bersagliati dal fisco e dalla concorrenza sleale e dalle minacce della malavita organizzata. Dipendenti pubblici che eseguono il lavoro loro e di chi dovrebbe coordinarli. Eroi dei nostri giorni che combattono incessantemente contro mille difficoltà, ma principalmente contro la derisione del collega irrispettoso che, misero, credendosi furbo, mette a frutto diversamente le sue giornate, perdendo ogni minuto un po' di dignità.
Questa è l'Italia: una nazione in cui chi lavora, anche commettendo qualche piccolo errore, viene additato come poco furbo, un dilettante, mentre i vecchi volponi si vendono l'anima e la libertà per pochi privilegi. Viva sempre i coraggiosi e i veri combattenti, quelli che devono ringraziare solo se stessi.


mercoledì 31 agosto 2016

226. UNA VACANZA SOCIAL


Tra cicciottelle in costume e silhouette con i burkini, tra webeti che ammazzano in nome di un dio che non li paga, tragedie commissionate e stragi impacchettate, tra inni nazionali e uomini senza nazione, tra beneficenza e deficienza, vorrei ma non posto, posto non posto, posto non posto, posto non posto, posto, fortissimamente posto!
Viva agosto in città, viva le vacanze a luglio e settembre, viva il posticino che conosco solo io, viva le mangiate che mi sono fatto, viva tutte le sere al ristorante, viva le braciate con gli amici, viva i giri in barca e pure quelli sul pedalò, viva l'animazione che si tiene i bambini che io non li ho proprio visti, viva i lettini nightmare che ti cosentono di far rientrare la pancia così posso farmi la foto in costume ed essere figa anche in spiaggia, viva il mare, i tramonti, la musica, i tramonti, gli aperitivi in riva al mare, i tramonti, le gambe abbronzate ed i tramonti.
Viva i castelli di sabbia, non scuole di sabbia, cazzo! 
E adesso voglio vedere come andiamo a comandare.
Carichi di luoghi comuni e di luoghi in comune con troppi sconosciuti, pieni di prevedibili contraddizioni.
Forza che a noi in fondo questa vita piace, ricca di vincoli e scarsa libertà,  foriera di finte rivoluzioni e dotata di mille alibi. 
Io, intanto, vado a controllare se il mio vicino al mare ha smesso di giocare al piccolo giardiniere (post 215), se è pronto per andare a comandare dal divano della sua casa in città. Jamm bell!


giovedì 25 agosto 2016

225. UN TEMPO MIGLIORE


Quanta speculazione sulle tragedie!
Non parlo della più evidente e sfacciata corsa al guadagno, allo sciacallaggio economico, quello dei politici e degli imprenditori edili. Mi riferisco piuttosto alla spregevole e volgare corsa nella gara di apparente "umanità". Siamo tutti bravi, buoni e distrutti dal dolore, tutti pronti a cazziare chi pecca di vanità postando foto pseudo sensuali su FB in questi tristi giorni, pronti a criticare chi fa beneficenza ottusa senza pensare che i terremotati potrebbero non beneficiare mai delle nostre offerte. Tutti pronti ad accusare. I più stolti vorrebbero addirittura cacciare gli immigrati dagli alloggi per farci entrare i terremotati, come se ci fossero esseri umani di serie A ed esseri umani di serie B. Perdonatemi,  ma in questi momenti trovo davvero inopportuna qualsiasi forma di polemica, di sterile critica. L'unica riflessione intelligente e condivisibile è quella sul motivo per cui una scuola inaugurata quattro anni fa si sia miseranente sbriciolata alla prima scossa di terremoto. Per il resto, la commozione ostentata, la diffusione di immagini dolorose, i giudizi sulle varie forme di solidarietà sono espressione della più bieca forma di vanità che i social hanno provveduto a fomentare negli ultimi anni. Un po' più di umiltà farebbe bene a tutti. Ed anche la natura, magari, non si sentirebbe provocata da cotanta arroganza. 
Abbassiamo la testa e forse domani sarà un tempo migliore.




domenica 21 agosto 2016

224. LE MIE OLIMPIADI


Quanto ho imparato da queste Olimpiadi!
Innanzitutto che ho allevato in casa due campionesse di lotta libera e che ogni volta che si sono attaccate alle mie gambe spettava loro un punto, e non di sutura. 
Che se è vero che l'acqua scolpisce i corpi, rendendoli statuari,  due settimane nelle splendide acque del mare di Sicilia producono benefici che svaniscono al primo morso di cannolo.
Che la Pellegrini è diventata ansiosa ed emotiva e se glielo dici, nega facendosi salire la pressione a mille e con le lacrime agli occhi.
Che Botero ha cominciato a dipingere dopo aver assistito alle gare di tiro con l'arco.
Che la beach volley si conferma lo sport dei guardoni. 
Che Schwazer non è napoletano, ma strunz. 
Che la scherma italiana pensa sempre più a fornire concorrenti per i reality, piuttosto che a vincere. 
Che in Italia si spara bene, sotto ogni punto di vista, e qualsiasi cosa, e già lo sapevamo.
Che i cinesi fanno dichiarazioni d'amore regalando anelli pezzotti. 
Che i brasiliani sono troppo tifosi e poco sportivi.
Che l'abbraccio tra un serbo e un croato fa meno notizia del bacio tra due gay.
Che non si può guardare il nuoto sincronizzato senza pensare ad Aldo Giovanni e Giacomo.
Che una caduta può essere fatale, ma chi riesce a rialzarsi diventa imbattibile.
Che la RAI potrebbe utilizzare parte del canone per pagare nuovi e più validi telecronisti.
Che alcune discipline sono state totalmente ignorate, forse perché per noi italiani il Badminton è il ripiego dei tennisti falliti.
Che l'hockey è riuscito là dove l'Aulin ha fallito, anche se il secondo resterà a lungo dentro di noi. 


Che non capiremo mai perché dei tuffi che ci appaiono perfetti vengono apprezzati meno di quelli dei cinesi.
Che il business dell'autunno italiano, lo faranno le palestre con i corsi di pallavolo.
Che se proprio si vuole rottamare uno dei segni identificativi dell'Italia,  meglio  l'inno che la Costituzione.
Che il calcio è l'argomento più amato dagli italiani, ma solo se porta il nome di un club di serie A.

Che lo sport è bello anche se fa male, soprattutto se il divano ha più di 5 anni.



martedì 9 agosto 2016

223. DI CICCIOTTELLE E DI ALTRE STORIE

Il resto del Carlino definisce “trio delle cicciottelle” le tiratrici con l’arco italiane in gara alle Olimpiadi, e si scatena il putiferio:  i social si accaniscono contro il quotidiano, ma le campionesse non accusano. Del resto, perché dovrebbero? Ci scateniamo contro i giornalisti che esaltano i glutei di alcune atlete o la tartaruga dei nuotatori? No, e allora perché dovremmo farlo in questa occasione? Hanno scritto “cicciottelle” perché evidentemente è così che le vedono. Riflettiamoci un attimo, senza seguire la solita scia dei buonisti, e di quelli che difendono ogni “perseguitato” ponendolo loro stessi nella condizione di “diverso”.  A me non sembra offensivo, e lo dico da cicciottella. Un titolo di giornale deve essere accattivante, deve incuriosire, certo non deve mai offendere, ma ha bisogno di espressioni condivisibili. Nella folta schiera di atleti che ha sfilato durante la cerimonia di apertura delle Olimpiadi, abbiamo potuto ammirare fisici statuari, bellezze di vario colore ed etnia, e tra questi saltavano all’occhio i pochi, rari corpi un po’ più morbidi ed in leggero sovrappeso. In un contesto come quello , un atleta con un po’ di ciccia rientra in una strettissima minoranza, ed è naturale che l’elemento distintivo diventi anche un modo per etichettarlo.  Qualcuno ha scritto che il vero errore non è nel titolo dell’articolo, ma nell’abitudine di classificare le persone in base al loro aspetto fisico. Certo, è un errore soffermarsi sull’involucro e non valutarne il contenuto, ma è anche vero che alcune caratteristiche non possono essere ignorate e sono lì a raccontare di una persona, assieme a tutto il resto ed è naturale ammettere di averle notate, non è giusto, piuttosto, che queste caratteristiche fisiche rappresentino una discriminante.
Gli atleti hanno caratteristiche che vanno ben oltre quelle espresse dal proprio corpo: tenacia, impegno, sacrificio, dedizione, e non saranno certo dei chili in più a celarne il valore.
Pochi giorni fa un amico scherzando mi ha chiamata “chiattona” e l’ha fatto pubblicamente, commentando un mio post su facebook. Conosco quest’uomo da quasi vent’anni e gli voglio bene, è pulito, onesto, leale, ed è un buono, e sapevo quando ho letto il commento che non c’era alcuno scopo offensivo, anzi. Se uno scopo c’era, era quello che contraddistingue la sua ed anche la mia ironia, andando contro gli stereotipi, contro queste mode degli opinionisti da quattro soldi che girano sui social. Li chiamo gli sciacalli dei sentimenti, quelli che speculano su ogni tragedia, su ogni disagio umano, provando sempre a commuovere il lettore. Sono i vari “personaggi pubblici” che sulle loro pagine, per diventare “social” e conquistare “mi piace”, sparano sentenze su ovvietà e luoghi comuni a oltranza. Sono quelli che un anno fa hanno postato la foto del bambino siriano sulla spiaggia, morto nel tentativo di raggiungere l’Europa. Sono quelli che qualche settimana fa hanno pubblicato l’immagine della bambina francese con la bambolina accanto, vittima della strage di Nizza. Quelli che sprecano parole per i gay, gli immigrati, i poveri del mondo,  gli ammalati, urlando frasi fatte, spesso senza cognizione di causa, senza avere alcun argomento a supporto delle proprie affermazioni. Questi stessi soggetti oggi magari insultano il direttore del Carlino.
La bellezza conta, la bellezza è importante, ma non è quantificabile attraverso  parametri univoci ed assoluti e soprattutto, non si ferma al corpo e non può e non sarà mai il solo metro di valutazione di una persona.
Mi sono tormentata per giorni sull’esito di un incontro nato per caso, ho creduto che fossero stati i miei chili di troppo a determinarne il fallimento e forse lo credo ancora. Non lo so, ma mi dispiace pensare che possa essere stato così.  Per me ogni persona che incontro è un regalo che la vita mi offre, non potrei mai fermarmi alla confezione, mi viene sempre voglia di aprirla, scartare il regalo, aprire la scatola, ammirarne il contenuto, arricchirmi di pezzi di vita altrui e, scambiare e ricambiare idee, storie ed emozioni.
A Napoli si dice “è bell ma nun abball”, per indicare le persone belle solo fisicamente, ma vuote, senza fascino, prive di personalità, ed è un’espressione che adoro perché la dice lunga su un certo modo di affrontare  la vita.

Siate belli, ballate, e cicciottelle o grissini che siate, fregatevene, voi siete molto di più, ma solo per chi vi saprà capire. Siate le “chiattone” degli amici che vi fanno sorridere e lasciate agli altri tutte le cazzate fatte di belle parole e falsi complimenti.


giovedì 4 agosto 2016

222. SE L'ATTESA DI UN POST È ESSA STESSA UN POST


Esterno giorno. Un'auto non più nuovissima, con qualche ammaccatura e leggermente rumorosa,  di un  colore indefinibile per la polvere che la ricopre, percorre strade roventi e malamente asfaltate a velocità moderata. Finestrini abbassati a fare entrare un vento caldo che scompiglia folte e dorate capigliature, le guarnizioni dei finestrini incorniciano quattro volti. Davanti, alla guida, una giovane donna ed al suo fianco un'altra un po' più matura mostrano volti arricciati dalla luce e dal vento, sui sedili posteriori due bambine confabulano tra loro. 
Tutto intorno è arsura e poche anonime costruzioni basse. Paesaggi che rievocano una tradizione cinematografica americana di fughe e libertà. La segnaletica stradale, l'edilizia ed i volti degli oriundi riportano invece ai set cinematografici nostrani di qualche decina di anni fa, quelli di De Sica e Fellini per intenderci.
Panoramica allargata.
Strisce di asfalto che tagliano campagne e tradizioni, e si tuffano in un mare dai mille colori, consentono di ammirare la bellezza e la sorprendente mutevolezza della natura. Zone incontaminate si affiancano ai centri urbani più caotici e commerciali, ma orgogliosi di un ricco e tangibile patrimonio artistico e culturale. 
Questa è la mia meravigliosa vacanza nella punta nordoccidentale della Sicilia: un rifugio per l'anima. Il resto è camminate, risate, cantate, lamenti di bambini, abbracci, pasta, cannoli, parole di conforto, confessioni, mercati, chiese, monumenti, parole d'amore, presenze, odore di mare, sguardi ammirati, disponibilità, e un po' di diffidenza, acque rosa, tramonti mozzafiato e un sogno realizzato: bagnarsi nel mare splendido di Favignana. 

Adesso sì.
Adesso sì che posso restare ferma ad aspettare. Adesso che mi sento in pace, che mi basta guardarmi attorno per essere felice. Adesso so che quando alzerò il finestrino, prima di uscire per l'ultima volta da quest'auto grigia, guarderò il mio volto riflesso e sorridente, e proverò ad ignorare quel po' di malinconia che segna ogni saluto. Il viaggio continua.