domenica 22 novembre 2015

182. LIBERTÉ ÈGALITÉ FRATERNITÉ

Questa settimana si è fatto un gran parlare sulla tragedia di Parigi, sul terrorismo, sull'Islam, sul Corano, Oriana Fallaci, le bandiere, i profili, gli ashtag e i condizionamenti vari. Sui  social si è detto di tutto, si sono dipinti i profili e si sono derisi quelli che lo facevano; si sono diffuse notizie su altre stragi e si è parlato di morti di serie A e morti di serie B. Poi si è capito che il terrorismo diffonde il panico ed è tornata di moda la parola 'coraggio'. Adesso lanciano falsi allarmi e si guarda con sospetto chiunque, e le borse abbandonate non le ruba più nessuno. Ho sempre difeso i social e continuerò a farlo, per la loro principale funzione di intrattenimento interattivo.  Sono gli amplificatori delle chiacchiere da bar, è vero, ma sono anche una compagnia (seppure illusoria) per tutti, e consentono un confronto con i soggetti più disparati. Fino a poco tempo fa l’opinione pubblica era guidata da giornali e TV, con la diffusione di internet, si è ampliata e velocizzata la trasmissione delle notizie e con essa il senso critico. La TV, purtroppo, non riesce a star dietro a questa valanga di informazioni che provengono dal web e sta perdendo il controllo: parla di argomenti già sviscerati in altre sedi e si sofferma su aspetti folkloristici di dubbio interesse. Insomma, è diventata ancor più noiosa! Un paio di giorni fa, mi è capitato di guardare un programma nel quale si discuteva del 'caso' di sei studentesse del varesotto, che si erano rifiutate di osservare il minuto di silenzio previsto per le vittime degli attentati terroristici francesi dei giorni prima. Pare che le studentesse avessero scelto di agire in tal senso per ribadire il concetto della eguaglianza dei popoli e, in special modo, dei morti.  Avrebbero voluto osservare un minuto di silenzio anche per le vittime di altre stragi e di altre nazioni. Di qui, tutta una disquisizione sull'opportunità di una tale scelta, sulla religione di appartenenza delle studentesse, sull'educazione familiare e quanto altro. Nell'ascoltare le teorie più disparate e spesso davvero incondivisibili, pensavo a me alla loro età. Mi sono ricordata di quando andavo alle manifestazioni studentesche per rivendicare i miei diritti, quando mi ero appassionata agli eventi del sessantotto, e a quel tema di Italiano la cui traccia chiedeva più o meno di descrivere quale fosse il mio programma televisivo preferito, motivandone la scelta. Era il periodo in cui iniziavo a prendere coscienza di me, a delineare i miei principi, i miei valori, non davo niente per scontato e soprattutto, non volevo che nessuno mi dicesse cosa fare e pensare. Decisi quindi di svolgere il mio tema cominciando a contestare la traccia: descrivere un programma televisivo preferito presupponeva che io, come tutti i miei compagni di classe, guardassi abitualmente la televisione, supposizione del tutto falsa. Lo svolgimento del tema, quindi, fu essenzialmente caratterizzato dalla mia voglia di libertà, di rifiuto per l’omologazione, e per ogni sorta di pregiudizio. E forse, è anche per colpa della mia insegnante di quei tempi, che io continuo a dire la mia sempre e comunque, anche qui, perché quel tema fu valutato da lei ottimamente. Non criticate, quindi, le ragazzine che si sono allontanate nel minuto di silenzio, hanno voluto uscire dalla massa, far intendere che non vogliono subire le scelte altrui, e magari tra qualche anno, ripensando a quel gesto, ci rideranno su, perché il minuto di silenzio per i morti andava fatto comunque, magari aggiungendone un altro per le vittime della Siria e di tutti gli altri paesi in guerra. Così come adesso sorrido anche io, ripensando a me che a quattordici anni di TV ne guardavo e come, non era vero che non avessi un programma preferito: seguivo le trasmissioni musicali, qualche tribuna politica, e la sera tiravo tardi per aspettare Renzo Arbore. Sicuramente oggi vedo meno TV di allora, ma all'epoca dovevo contestare tutto. Perciò mi fanno quasi tenerezza quelli che vogliono andare controcorrente a tutti i costi, sui social come nella vita, mi ricordano quella fase della mia adolescenza in cui non volevo darla buona a nessuno, in cui credevo che dire la propria significasse per forza uscire dalla massa. Oggi, più che mai, sono convinta che non sia così. Magari anche la Mavi di qualche anno fa avrebbe contestato la bandiera francese sui profili FB, il minuto di silenzio, avrebbe fatto della dietrologia, ma con qualche anno in più e qualche certezza in meno, credo fermamente nella spontaneità e nella libertà, e non condanno l'uso del tricolore francese a scopo commemorativo. Se li abbiamo sempre chiamati i “cugini d'oltralpe” è perché ne abbiamo passate tante insieme, abbiamo condiviso battaglie e lotte sociali, ci siamo scambiati culture e civiltà, e a me, onestamente, pare naturale che si pianga più per la perdita di un parente che per quella di un affine.