martedì 23 settembre 2014

114.2 IL PREMIO DELLA SECONDA EDIZIONE

Si è chiuso con la vittoria della poesia di Laura Quagliariello la seconda edizione del concorso di poesia per incompetenti "MA VIR NU POC PUR 'E PULLECE TENEN 'A TOSSE". Il pubblico di FB ha deciso di premiare la seguente 'creatura':

martedì 16 settembre 2014

122. ARMIAMOCI E PARTITE

Non se n'è parlato abbastanza, non nel modo giusto. Siamo tutti d'accordo sull'evitabilità della tragedia del Rione Traiano a Napoli, sul valore di una vita umana. D'accordo sì, ma quanti di noi, persone perbene, costretti ogni giorno a subire i soprusi, l'arroganza e lo sbeffeggiamento dei delinquenti che affollano le nostre città, non hanno pensato 'che cazzo ci faceva un ragazzo di diciassette anni, in giro alle tre di notte sullo scooter, senza casco, con altri due amici? E perché non si è fermato davanti ai carabinieri?' Andava a lavorare? Non mi pare. Ammirava il paesaggio? Che cazzo ci faceva? Io ho amici perbene che potrebbero trovarsi a quell'ora in giro, per un qualsiasi lecito motivo, ma non si permetterebbero mai di deridere un carabiniere. Io sono stanca. Stanca di questo buonismo che nasconde un comportamento pavido, sempre più diffuso, una comprensione ed una tolleranza eccessiva, ma anche comprensibili. Troppo facile mostrarsi indulgenti con questi loschi individui, troppo facile e dannoso. Dannoso perché ogni volta che si lascia correre, si diventa complici, complici dell'illegalità, di tutte le morti di camorra! Ogni volta che facciamo finta di non vedere, di non capire, stiamo collaborando con loro, con le merde. Come ho detto, però, è un atteggiamento pavido, meschino, ma comprensibile. Dove sono le istituzioni quando si denuncia un illecito? Quale tutela si riserva ai danneggiati? Non c'è certezza della pena, non c'è giustizia. Armiamoci e partite! È il motto delle nostre istituzioni. Vorrebbero che i cittadini onesti si presentassero a loro per denunciare, per segnalare tutti gli attentati alla legalità cui quotidianamente assistiamo, e poi? O vanno dal denunciato e 'patteggiano' una soluzione, o fanno finta di arrestarlo e lo mettono fuori dopo due giorni. Intanto, manco usciamo dal commissariato dopo la denuncia, che come minimo ci rubano l'auto, entrano nelle nostre case, così, giusto per stabilire chi comanda. E allora? Allora come pensate di poter condannare un giovane carabiniere che ha intimato  l'alt a dei giovani irriverenti? Sapete chi fermano generalmente i poliziotti ed i carabinieri? Le donne, le famiglie, i preti e le suore. Finalmente si trova uno che fa il suo dovere, che segue l'istinto, la passione, che ha un'idea di giustizia ancora integra e che si fa? Lo si massacra con luoghi comuni e buonismo idiota. Sì, siamo d'accordo, un carabiniere non può sbagliare, deve saper gestire le situazioni difficili, deve mantenere la calma. Andateglielo a dire al bancario che assiste decine di volte all'anno alle rapine sul proprio luogo di lavoro, alla ragazza derubata del cellulare ricevuto in regalo dal papà, che si suda il suo stipendio, alla donna minacciata con la pistola alla tempia per il furto della fede, al commerciante costretto a pagare il pizzo. Diteglielo alla madre, alla vedova del mio collega Attilio Romanò, ammazzato per errore dalla camorra. Andateglielo a dire a mio padre, a cui hanno rubato cinque automobili perché non è sceso a compromessi, o a mia madre che hanno minacciato perché nel suo ruolo di educatrice, inculcava ai propri alunni delle elementari il rispetto della legge. Andateglielo a dire ai miei genitori, che quando sentono che al TG si parla della morte di un boss dicono: si sono sbagliati, hanno detto che è morto un boss, non è chiaro, va detto 'è morto un altro pezzo di merda'. E scusate la volgarità, ma qui non ce la facciamo più, e non lo vogliamo un altro carabiniere come quello che ha ammazzato Davide, ne vogliamo altri mille, altri diecimila. Che Dio mi perdoni, ma io l'Inferno lo vedo quaggiù.

venerdì 12 settembre 2014

121. SOLIDARIETÀ

Chi si accinge alla lettura di questo post, nella maggior parte dei casi, penserà al concetto di solidarietà come di generosità, di impegno etico-sociale verso chi è in difficoltà. Fino a qualche mese fa, io stessa avevo un'accezione esclusivamente positiva del termine, mi rievocava un po' i principi della Repubblica Francese (Liberté, Égalité, Fraternité), Fraternité, tutti solidali, tutti disponibili verso chi vive un disagio, "uno per tutti, tutti per uno", ma questa è un'altra storia. Inoltre, reminiscenze di natura universitaria, hanno contribuito a rafforzare l'aspetto positivo del termine, associandolo alla responsabilità dei soci nelle società di persone, al concetto di redistribuzione del reddito, che è poi uno dei principi base del nostro sistema economico. Crescendo, ho associato questo termine alle lotte di classe, alle battaglie sociali, o più semplicemente alle scelte determinate dal rispetto verso un familiare, un amico, un membro di un gruppo o una categoria cui si appartiene. Ecco, tutto molto bello, molto teorico, ammirevole. 
Ai miei colleghi che leggeranno questo post, invece, come a me del resto, la parola "solidarietà", da qualche tempo evoca spiacevoli sentimenti, sensazioni di insuccesso, di un sacrificio evitabile. Per molti dipendenti, purtroppo, questo termine ha perso il suo più nobile significato, costituendo nient'altro che il nome dell'ammortizzatore sociale cui ha fatto ricorso l'azienda per cui lavora.
Oggi io sono a casa perché anche la mia azienda ha fatto ricorso a questo ammortizzatore ed io non riesco a sentirmi contenta, non riesco a sentirmi "generosa", solidale. Eppure nei miei slogan da ragazzina, alle manifestazioni, c'era sempre quello che diceva "lavorare meno, lavorare tutti", ed io ci credevo, ed io lo urlavo con passione. All'epoca ero ancora più convinta di adesso di poter cambiare il mondo, di riuscire a far sentire la mia voce, di poter combattere per un ideale, e ritenevo che la solidarietà, il desiderio di un risultato utile a tutti, fosse condivisibile da tutti. E allora perché oggi sento che il mio contributo poteva essere evitato? Perché penso che gli ammortizzatori sociali non siano più un bene per i lavoratori, ma  un ulteriore "aiutino" dello stato alle aziende in difficoltà? Forse perché troppo spesso le persone vengono considerate numeri, perché non si pensa alle conseguenze che una scelta aziendale possa avere sugli uomini, sulle loro famiglie. E a pagare sono sempre gli stessi. Sì, d'accordo, ci hanno detto che ci sono degli esuberi, che ci sono lavoratori (colleghi) che rischiano il posto di lavoro, per cui abbiamo pensato che il nostro contributo fosse moralmente corretto, certo, ma se si fosse provato ad agire in altro modo? Se magari si fosse organizzato il lavoro in maniera tale da distribuirlo correttamente tra i dipendenti, se si fossero evitate assunzioni tese solo ad ottenere sovvenzionamenti, se non si fosse chiesto il supporto di società esterne? Prevenire è meglio che curare, no? E se poi alla fine davvero di dovesse far ricorso al licenziamento, lo si dovrebbe fare considerando le caratteristiche del dipendente, la sua capacità di "rivendersi" sul mercato del lavoro, e, soprattutto, bisognerebbe valutare il contributo reale che ciascuno apporta all'azienda, perché la solidarietà sia reciproca e non unilaterale. Non come in certe famiglie dove c'è chi dà sempre e quello che prende solo. Nelle imprese con scopo di lucro non funziona così. Parlo da profana, solo per dire che se si accettano alcune scelte aziendali, non sempre condivisibili, lo si fa in forma apparentemente passiva, perché non è data altra opportunità, ma occorre ricordare che quel mare di matricole "solidali" non hanno solo un cuore "ricattabile", ma anche un cervello.

domenica 7 settembre 2014

120. QUANTE PAROLE

Eccomi qui, con la mia tazza di tè verde, davanti al mio portatile, con la voglia di scrivere e di raccontare, di condividere e di sdrammatizzare. Della scrittrice ho solo l'immagine stereotipata, forse un po' lo spirito di osservazione, ma null'altro. Sono una donna, e questo basta a rendermi facile preda di turbamenti, stati d'animo contrastanti, sensazioni di onnipotenza, e profonda insicurezza, fragilità, abnegazione. Sono madre di due femmine e per questo, mi sento ancora più responsabile della loro formazione, perché un genitore è un genitore, ma la madre di una donna è il suo esempio, è il suo futuro. Dalle nostre madri abbiamo appreso tutto, le più brave di noi hanno preso il meglio e perdonato il peggio, una parte non accetterà mai alcuni errori, ed una parte resterà eternamente nel ruolo filiale, di dipendenza, fingendosi ignara, inconsapevole del proprio ruolo. Vorrei abbracciare ad una ad una tutte le donne: quelle che amano incondizionatamente, che infondono coraggio, quelle che usano gli uomini come giocattoli, senza aver letto le istruzioni, quelle che sognano eternamente il principe azzurro, e a furia di sognare non si accorgono del suo passaggio. Le donne che piangono per un capriccio, per un'ossessione, per una dipendenza nociva, e quelle che ridono di se stesse e della vita. Un abbraccio alle donne 'fragili' che piangono troppo spesso, che forse non hanno imparato ad amare e ad amarsi, e soprattutto a quelle 'forti', quelle che difficilmente ispirano tenerezza, che sanno amare e provano ad amarsi tutti i giorni, che spesso soffrono in silenzio, ed hanno sempre un sorriso per tutti. Vorrei esserti accanto amica mia, quando lui non risponde al telefono, ad un messaggio, quando ti dice ti chiamo dopo e dopo non arriva mai. Quando scopri che le stesse parole che dice a te, le stesse canzoni che ti dedica, le sta dedicando contemporaneamente ad altre. Quando capisci che sei stata solo la compagna di una sera, o la distrazione di un'estate. Quando dopo anni di vita insieme, di quotidiana condivisione, ti tratta come un pezzo dell'arredamento. Vorrei esserti vicina, sorella mia, nei giorni dell'abbandono, quando vorresti vomitargli addosso le cose più cattive e trasferirgli tutto il male che hai dentro, vorresti che soffrisse almeno la metà di quanto soffri tu, vorresti che rinsavisse e si inginocchiasse davanti a te per chiederti perdono, e magari negarglielo. Vorrei esserti vicino quando poi torni sui tuoi passi, metti da parte la tua dignità e lo richiami, per incontrarlo ancora, anche per soli dieci minuti di piacere. Vorrei stringere forte te che hai dovuto spezzare il fiore che ti cresceva dentro, perché nessun uomo capirà quanto possa essere devastante una scelta simile. Vorrei stringerti forte quando, mentendo, giustifichi i suoi schiaffi, i suoi spintoni, con la passione, la gelosia, il troppo amore. Vorrei strapparti via. E poi vorrei ubriacarmi con te, amica di sempre, che sai quanto sia meschino l'essere umano, e non credi più a niente, che hai paura di soffrire, perché quando accade non c'è niente che possa spegnere l'incendio che ti brucia dentro, che ti schiaccia il petto e ti annebbia la vista, e ti induce a credere che sia tutto finito. Vorrei bere con te, per trovare rifugio nell'ironia e nella voglia di esserci sempre e comunque: con qualche ruga in più, con qualche Kilo in più, con lo sguardo attento di chi sa di aver vissuto. Ubriacarmi di sangria e di risate ed abbracciare il tuo corpo segnato dal dolore e dal piacere, che la vita ha tracciato come un tatuaggio. Forza amiche mie! Usciamo a testa alta, viviamo, amiamo, soffriamo, abbracciamoci, ubriachiamoci, balliamo e ridiamo. Raccontiamoci, innamoriamoci del nostro corpo, abbiamone cura, nutriamo la nostra mente, custodiamo il nostro cuore, lasciamoci amare da chi ci considera uniche, non scendiamo a compromessi e, soprattutto, non consentiamo a nessuno di mancarci di rispetto, mai.