domenica 27 aprile 2014

98. QUINDICIMILA GRAZIE

Tra un paio di settimane questo blog compie un anno e circa 15.000 visualizzazioni! Un anno fa incominciava questa bella avventura. Ho riletto i post, i commenti, ho rivissuto emozioni e riflettuto sull'evoluzione di questo piccolo spazio che mi sono ritagliata sul web. Quando ho cominciato, avevo in mente altro, pensavo più ad un posto dove confrontarsi su argomenti vari, in maniera più approfondita rispetto a quanto si fa sui social, ma piano piano l'idea si è modificata, ha preso la forma più ampia di un contenitore di concorsi, racconti di fantasia e storie di vita vissuta. Partendo dai problemi legati all'organizzazione sociale, fino ad arrivare ai decaloghi che ci aiutano ad affrontare la vita con più ironia, passando per argomenti 'seri' di carattere politico, questo blog è diventato il mio mondo, ovvero, la vita secondo Mavi. Questo è una sorta di monologo interiore, qui leggete di me, di voi e ... di Nat. Glielo dovevo, nel resoconto del primo anno del blog, non potevo non menzionare il lettore più fedele e partecipativo del blog. Così come non posso esimermi dal ringraziare mio marito, primo lettore di ogni post (sempre dopo la pubblicazione), che ha mostrato grande intelligenza e generosità d'animo nel restare silenzioso (quasi sempre) spettatore di questo gioco tutto mio. Mi piacerebbe che il post del prossimo 10 maggio lo scriviate voi lettori: a partire da oggi raccoglierò i vostri contributi per la festa di primo compleanno. Chiunque voglia, tramite commento qui, o su FB, tramite mail o messaggio privato, può partecipare alla creazione del 99esimo post. Io raccoglierò tutto e lo trascriverò come se stessimo compilando un mega biglietto di auguri ... 
Vi aspetto :)

P.S. Ciascuno può scrivere ciò che vuole, nel modo che vuole. Vanno bene anche le critiche, purché rispettose e costruttive e, ovviamente, firmate ...

martedì 22 aprile 2014

97. SCENE DI ORDINARIA FOLLIA

L'altro giorno ho fatto circa mezz'ora di fila per il bancomat, arrivato il mio turno, felice per aver raggiunto il traguardo, ho cacciato fuori il portafogli dalla borsa e ... porca puttana! Mi sono ricordata di aver lasciato il bancomat nella tasca della giacca che indossavo il giorno prima ... Che rabbia! Mi sono girata con espressione delusa e guardando la ragazza che era in fila dietro di me, ho detto <<Non trovo la carta, l'ho usata ieri e probabilmente l'ho lasciata nel giubbino>>, con un certo imbarazzo, quasi a volermi giustificare. Credo che la ragazza non mi abbia neanche ascoltata, tanto era felice che la mia 'operazione' fosse durata solo 5 secondi! Quante volte ci capita di trovarci in situazioni simili, di preoccuparci  più di quello che potrebbe pensare chi ci osserva, che al nostro vero obiettivo. Vi ricordate la scena del film 'Ricomincio da tre'? Quella in cui Troisi, a pranzo con la zia, più che ascoltare quello che ha da dirgli, si preoccupa di quello che può pensare la gente attorno, e allora comincia a dire a voce alta la parola 'zia', per chiarire a tutti il rapporto che li lega. Giorni fa in funicolare, ad esempio, mi è capitato di incontrare una mia ex collega che non vedevo da alcuni anni, ci siamo salutate e lei ha cominciato subito a raccontare di quanto fosse migliorata la sua vita da quando aveva cambiato lavoro, di tutte le cose che non le piacevano del precedente, anche con espressioni colorite ed inopportune, come inopportuno era il tono della voce: sembrava che stesse parlando con l'intero vagone, non solo con me. Lei è una di quelli che amano ascoltarsi e che quando parlano fanno in modo che l'ascoltino quante più persone possibile, autorizzandole, nel caso ne avessero voglia, ad intervenire nella discussione. Mentre parlava avrei voluto scomparire, pensavo che sarebbe stato meglio far finta di non averla vista, soprattutto quando ha cominciato a dire, sempre con toni da comizio, <<Poi, non so come tu faccia a resistere in quel posto, io non tolleravo più quella gente di merda!>> È stato in quel momento che ho cominciato a provare un senso di gratitudine verso i mendicanti, proprio in quell'istante, infatti, la musica della fisarmonica di un uomo di mezza età, dal colorito olivastro, aveva preso il sopravvento, domando l'urlatrice che avevo difronte e carpendo l'attenzione degli altri viaggiatori. A quell'uomo ho donato 2 Euro e tante benedizioni. Camminando per strada mi è parso di vedere in lontananza una mia amica e le sono andata incontro con il braccio alzato in segno di saluto, ma ad una distanza di pochi metri ho realizzato che quella donna non la conoscevo per niente ed in comune con la mia amica aveva solo la sagoma, presa dall'imbarazzo, ho deciso di proseguire anche dopo averla incrociata per dimostrarle che il mio saluto era diretto ad una persona dietro di lei; sarei stata meno ridicola se avessi ammesso di essere miope e mi fossi scusata, anziché proseguire alcuni metri con il braccio alzato verso l'ignoto.
Può anche capitare che, prima di presentarsi ad un incontro, si scopra di aver macchiato la camicia con il caffè e tra rabbia e sconforto spunti il nostro disagio. Dopo innumerevoli vani tentativi di cancellare le tracce, di occultare in qualche modo i segni della nostra goffaggine, si passa alla strategia successiva: anticipare agli altri, prima ancora che se ne rendano conto, che la macchia è fresca, che non siamo usciti di casa così, che non siamo i tipi ... arriveremmo al punto di metterci un post it sulla macchia con la scritta 'Mi sono appena sporcato, giuro!' Manco il giudizio su una persona potesse essere influenzato dal candore degli abiti che indossa! Però continuiamo a farlo: forniamo spiegazioni, anche se non richieste, perché in quel momento temiamo di essere criticati o addirittura derisi. Pensare che invece c'è gente, ma rappresenta una minoranza, che ama provocare, dimostrare di fare, dire e indossare quello che si vuole, che non forniscono mai spiegazioni. Sono quelli che curano il loro abbigliamento finto trasandato, che quando parlano vanno sempre controcorrente, a prescindere dall'argomento, che compiono gesti di ordinaria, prevedibile, trasgressione, che si dichiarano non omologati alla massa. Ecco, credo che queste persone siano omologate ad una massa minore e contrapposta, ma pur sempre omologate. L'appartenenza all'una o all'altra massa ci protegge, ci rassicura, perché nessuno di noi è in grado di essere realmente libero, lontano da ogni stereotipo, e neanche lo desidera. 

P.S. Da oggi non sarà più possibile lasciare un commento anonimo ;)

domenica 13 aprile 2014

96. GLI SCATTI INDESIDERATI

Una volta, al rientro dal viaggio di nozze, ci si organizzava per ospitare i parenti e gli amici più cari, ovviamente in più fasi, per inaugurare la nuova casa e per mostrare l'album fotografico del matrimonio. Quel mattone, solitamente rilegato in cuoio, conservato in una valigetta che ricorda un po' quelle che nei film si usano per trasportare mazzetti di banconote, racchiudeva il reportage di una giornata che ci era costata molto più del valore delle banconote che avrebbe potuto contenere! Iniziava così il giro degli inviti finalizzati alla presentazione del reportage. Quelle serate, per gli under 70, erano davvero noiose! Il meglio veniva dopo, quando appena fuori dalla porta, si cominciava ad ironizzare sulle pose pseudo sexy della sposa, sugli sguardi languidi dello sposo, sugli abiti e sulle acconciature degli invitati e su tutti gli eccessi che il sadico fotografo aveva immortalato. Nel tempo questa tradizione si è estesa anche alle vacanze, ad ogni rientro da un viaggio si era desiderosi di mostrare i luoghi visitati ed il nostro sorriso fiero, identico in ogni foto! In queste occasioni, però, ci si limitava ad ospitare i soliti "fortunatissimi", prescelti amici. Adesso che il concetto di amicizia è molto cambiato, che si punta alla quantità più che alla qualità dei rapporti, le nostre foto le pubblichiamo sui social e le mostriamo a tutti, senza aspettare che ci sia davvero qualcosa da celebrare, senza un motivo evidente, se non quello di voler comunicare con il maggior numero di persone possibile. Sentiamo l'esigenza di raccontare le nostre vite, attraverso le parole e spesso attraverso le immagini, per sentirci più vicini. E allora finiamo per fotografare di tutto, compresi noi stessi in mille pose, e poiché non sempre troviamo qualcuno disposto ad assecondarci, ci siamo inventati il selfie, che poi non è altro che l'evoluzione dell'autoscatto. Le foto sui social fanno sorridere, riflettere, a volte anche ridere, altre mettono tristezza. Non commento le foto dei bambini, perché sono sempre le più inutili ma anche le più belle. Quelle degli adulti però, quelle andrebbero un po' selezionate, non è che siamo tutti Brad Pitt e Angiolina Jolie, se proprio vogliamo far partecipi gli altri della nostra vita, o lo facciamo con semplicità, con ironia, o evitiamo. Le pose plastiche, gli abiti succinti su corpi in evidente sovrappeso, il nonno moribondo, la nonna sdentata, forse li dovremmo mostrare solo agli amici veri, quelli che per affetto ci perdonano tutto. E poi, ricordiamoci di chiedere sempre il permesso di pubblicare una foto ai soggetti che sono stati immortalati; non è carino pubblicare foto in cui i nostri amici sembrano parenti di Shrek e solo noi brilliamo come una stella. Quello che inoltre noto, è che si sta diffondendo sempre più l'abitudine di mostrare le foto delle pietanze, di quelle che siamo orgogliosi di aver cucinato o solo di aver mangiato. Ecco, in questi casi, apprezzo molto chi fornisce suggerimenti per una nuova ricetta, chi dimostra abilità nella creazione di torte-sculture, ma uno spaghetto al pomodoro, un hamburger, non è che proprio siano delle specialità, si potrebbe anche evitare di mostrarli a tutti, e poi un consiglio: quando fotografiamo i nostri piatti a tavola, accertiamoci che la tovaglia sia pulita. 
In ogni caso, io le fotografie le adoro! Ho fatto anche un concorso lo scorso anno sulla fotografia. Dalla foto si capisce molto più di quel che si comunica  con il commento che le accompagna. Io che amo osservare la gente, che passerei le ore in silenzio a guardare il mondo che mi gira attorno, ho una reflex che potrebbe raccontare meglio delle parole certe situazioni, e forse un giorno lo farò: pubblicherò un post di sole foto.  Per adesso faccio come tutti: mostro le mie foto, non sempre di buona qualità, per raccontare di me e per condividere le mie emozioni. Per tutto il resto ... c'è il blog.

venerdì 4 aprile 2014

95. E ALL'IMPROVVISO ...

Solita routine, solito lavoro, qualche risata tra colleghi, qualche sorriso inaspettato, ma tutto più o meno "normale". Eppure, sono in macchina e guido verso casa dopo il lavoro, mi intravedo per un attimo nello specchietto retrovisore, poi mi guardo meglio e mi scopro sorridente. Sul mio viso un'espressione incontrollata, di inspiegabile serenità, gli angoli della labbra all'insù, sorrido, mi sento bene! Sì, perché alla fine, anche se ci sono aspetti del mio lavoro che cambierei volentieri, anche se non tutto va come vorrei che andasse, tra persone incontrate nel modo e nel momento sbagliato, tra fraintendimenti, tra impegni quotidiani e automatismi vari che sembrano occupare troppo del mio tempo senza dargli un senso. Tra osservazioni banali e discorsi ripetitivi, tra reazioni prevedibili e scontate, tra la noia e la rassegnazione, c'è la voglia di stare bene, c'è la consapevolezza che tutto questo l'ho voluto io, l'ho cercato io, era quel che desideravo. E allora mi crogiolo in questa condizione di benessere, in questo sorprendente stato di grazia. Con la mente brilla,  mi giro verso la macchia accanto e l'uomo che è alla guida, un cinquantenne dall'aspetto curato, mi sorride, come uno specchio che riflette la mia espressione. Appena me ne accorgo, mi rigiro con un lieve imbarazzo, ma soddisfatta per aver contagiato un po' anche lui. Qualcuno dice di me che sono un'idealista, che credo di poter cambiare il mondo, che sono uno spirito libero, che non amo vincoli, obblighi e costrizioni. Sì è vero, perché la libertà sta proprio nella possibilità di trasgredire e scegliere di non farlo, nell'avere a disposizione tante armi e non adoperarne neanche una, nell'avere un tesoro a portata di mano e non toccarlo. Io scelgo di essere libera di vivere come voglio, senza omologarmi ad alcuna categoria, senza appartenere ad alcun gruppo, fuori dalle sette dichiarate e non. Nel frattempo, l'uomo di prima mi affianca e mi sorride, forse ha frainteso le mie intenzioni, sfuggo allo sguardo e accelero. Torno a riflettere sulla mia condizione. Non so, forse sarà per via della mia natura partenopea, che si arrabbia, ma non troppo, che lascia correre, che tende sempre a vedere il bicchiere mezzo pieno, quasi come se questo mare che ci bagna, mitigasse anche i sentimenti oltre che il clima. Come se la città si fosse lentamente assuefatta ai soprusi, alle violenze, come se l'ira e la rabbia avessero lasciato il posto ad una latente rassegnazione.
Sembra incredibile, ma ci si abitua anche all'infelicità. E quando ci si abitua all'infelicità, si vive in uno stato di torpore, in un’atmosfera ovattata, tutto giunge lentamente, in sordina, e non c'è più nulla che conti davvero. Più che all'infelicità, ci si abitua all'idea che non si possa manovrare un destino già scritto, che si sia impotenti difronte a certi eventi, a certi meccanismi oscuri e meschini che regolano le dinamiche della vita. Più facile fare del vittimismo che rimboccarsi le maniche e combattere. Io non ci sto. Io voglio vivere provando costantemente a migliorare la mia condizione, voglio essere felice, e lo posso essere solo se provo a cambiare quello che non va, agendo anche nell'interesse comune, con altruismo e generosità. 
Sono arrivata a casa, parcheggio ed esco dall'auto che un po' mi proteggeva, mi dava la giusta distanza dal resto del mondo, mi garantiva un po' di privacy. Adesso sono io, senza armatura, mi guardo attorno con occhi diversi e penso che c'è tanto da fare, bisogna impegnarsi, con coraggio e determinazione per cambiare il mondo, o comunque per vivere felici, inseguendo un sogno.