sabato 22 marzo 2014

94. SE MI LASCI TI CANCELLO


Squilla il telefono, è Paola, mi chiede se posso dedicarle qualche minuto, le dico di sì e parte, è un fiume in piena ...


Lo conosci il film "Se mi lasci ti cancello"? Ecco, mi ci vorrebbe un reset, cancellare questi cazzi di ricordi che mi fanno stare male, che mi bruciano dentro. Perché la fine è sempre dolorosa, per entrambe le parti, anche se c'è sempre uno che soffre di più. E questa volta sono io. Era tutto così strano, è sempre stato strano per me, un rapporto non-rapporto, una storia basata sul niente, su parole e su immagini bidimensionali. Molti messaggi, poche telefonate, qualche foto, seguite ad un unico, breve, superficiale incontro iniziale. "Basta, finiamola qui! Io vivo in tridimensionale. La vita è fatta soprattutto di odori, di sguardi" gli ho detto un giorno, ma poi il giorno dopo ero già pronta ad assecondare le sue richieste. Sono tornata sui miei passi, perché anche se le cose non andavano come volevo, era meglio di niente, era l'unico modo per tenerlo legato a me, anche solo per pochi minuti (a volte ore) al giorno. Parlarsi senza toccarsi, sfiorarsi con le parole, desiderarsi restando lontani e amarsi senza amore. Ho forzato la mia natura, ho finto di essere quella che non ero: una donna che sa dare emozioni fini a se stesse, senza implicazioni sentimentali. Invece no, non sono così, sono troppo complicata, o forse troppo lineare: io ci metto l'anima in tutto ciò che faccio, e anche regalare emozioni legate meramente alla sfera sessuale, per me è un gesto di amore. A lui bastava questa strana corrispondenza, non voleva incontrarmi, a me no, non bastava. Com'è la storia? Se non ti chiama, se non vuole incontrarti, è perché non gli piaci abbastanza. Tutto qui. Il discorso è sempre lo stesso, nessuno si sacrifica, nessun uomo interrompe un rapporto, soprattutto se poco impegnativo come era il nostro, per non rischiare di perdere il controllo, per "disintossicarsi da una dipendenza". Nessuno rinuncia al piacere. Evidentemente aveva disponibili altre compagnie, apparentemente più leggere e disinteressate, magari meno presenti di me, più discrete e accomodanti. Compagnie abituate a vivere di parole, di fantasia, che fanno finta di non volersi concedere per poi concedersi a tutti. Eppure sarebbe stato molto più semplice incontrarsi, anche solo per condividere un caffè saltuariamente. Sarebbe stato molto più emozionante potersi guardare negli occhi, osservarsi, parlare di sè, raccontarsi e sorridere, sfiorarsi e poi magari ridere insieme. Del resto era questo che avrei realmente voluto, flirtare solo un po', senza follie sessuali. O forse no. Forse avevo bisogno di dare libero sfogo ad una parte di me trasgressiva e folle, disinibita e provocante. Non lo so. Quello che so è che si è chiusa una parentesi della mia vita strana, ma affascinante, dolorosa, ma dalla quale ho imparato tanto. Dicevo di volerlo incontrare, ma forse dentro di me speravo non accadesse mai, mi mostravo avvezza a certi comportamenti, ma non lo ero per niente. Adesso non mi resta che una grande amarezza, ma poi ci penso e quasi mi viene da sorridere, perché alla fine il problema non è il mio. L'incapacità di affrontare la vita in tridimensionale è suo. Io ho tanti riscontri anche nella vita reale, ho un sorriso che conquista, ho un buon profumo, so parlare con gli occhi, sono bella. Ma che mi frega che lui sia scappato? Che mi frega se ha deciso che servivo solo per delle fantasie sessuali irrealizzabili? Il problema è il suo! Magari se l'avessi frequentato, non sarei rimasta minimamente affascinata da lui, l'avrei trovato banale, retrogrado e maschilista, noioso ... ma mi faceva stare bene, cazzo quanto mi faceva stare bene, adrenalina pura!

-Paola, io non ci ho capito niente- le ho detto -Hai avuto una relazione virtuale e sei rimasta male perché è terminata? È questo che stai dicendo? Sì?  
Ma ringrazia Dio! Tu sei una donna vera, sei solo vulnerabile perché hai appena affrontato una separazione, ma non puoi accontentarti di quattro parole buttate lì, non puoi credere che abbiano un valore. La vita è un'altra cosa,   ed anche il sesso è un'altra cosa. Lascia perdere, se era realmente interessato a te, avrebbe fatto di tutto per incontrarti. Poi sappi che cancellarlo sarà molto semplice, tra pochi giorni l'avrai già dimenticato.- 


Ci siamo lasciate con la promessa che ci saremmo viste per abbracciarci un po'. Paola, come tanti altri, ha solo bisogno di sapere che non è sola!



(Il racconto, come quasi tutti quelli del blog, è frutto di fantasia)

venerdì 14 marzo 2014

93. E VISSERO FELICI E CONTENTI

Vi ricordate come finivano tutte le favole? Proprio così, come il titolo di questo post "e vissero felici e contenti". Tutto finiva con la celebrazione del matrimonio tra la protagonista, spesso di origini nobili ma povera, ed il principe azzurro, bello e ricco. Adesso, lasciando perdere tutti i commenti che si possono fare sul principe azzurro, uomo sensibile, elegante e coraggioso (vagamente somigliante all'uomo reale intento nel corteggiamento, prima che lei gliela dia), lasciando perdere che da bambine ci hanno convinte che la massima aspirazione per una donna dovesse essere il matrimonio con un uomo bello e facoltoso, mi piacerebbe soffermarmi proprio su questa espressione "e vissero felici e contenti". Una favola moderna comincerebbe proprio da qui, perché oramai lo abbiamo capito che la conquista di un uomo non è cosa tanto ardua, il difficile viene dopo. E' dopo la conquista che l'amore, il coraggio, la bellezza vengono messi a dura prova.  Ma voi lo sapete che Cenerentola dopo due gravidanze ha messo su venti kili e la scarpetta di cristallo si è frantumata l'ultima volta che ha provato a calzarla? Che la sorellastra Genoveffa è dimagrita e si è rifatta il naso ed è diventata l'amante del principe? E di Biancaneve sapete cosa resta? Una donna depressa e stanca, persa dietro sette nani che le consumano tutte le energie. Per non parlare della bella addormentata nel bosco e di tutte le altre costrette ad alzare da terra i calzini sporchi dei loro "principi". Insomma, il bello comincia proprio da lì, comincia dalla convivenza: tappi del tubetto del dentifricio introvabili, rotoli di carta igienica da cambiare, caffettiere da pulire, cene da preparare, bucato da stirare, domeniche noiose. Il bello comincia dalla condivisione dell'intimità, dalla confidenza, dal modo di considerare l'altro un'estensione di sé. Ma immaginate che noia essere felici e contenti sempre? Fermi, immobili, come in una fotografia. La vita è altro. La vita è il coraggio di una donna che resta accanto al suo uomo nei momenti difficili, è l'amore di un uomo che in quella donna ritrova sempre la serenità. La vita è la bellezza degli occhi che hanno visto e perdonato, la dolcezza di un viso non più giovane e tanto eloquente. La vita è nei piccoli riti di ogni giorno, nella complicità e nella sintonia dei gesti. Nelle discussioni futili e ripetitive, nella stanchezza. Questa è la vita: e vissero nemici e a volte scontenti. Comunque vissero.

sabato 8 marzo 2014

92. PARLA PIÙ FORTE NON TI SENTO

<Parla più forte, non ti sento>
<ABBASSA LA RADIOOO>
<Non puoi venire TU più vicinooo?
Mentre Luigi si avvicinava nervosamente al bagno dove Laura stava affannosamente cercando di asciugare la sua piccola Irene, dalla radio giungevano le note della canzone che Laura canticchiava di più negli ultimi mesi, con un tempismo cinematografico una voce femminile le suggeriva: "E' arrivato il tempo di lasciare spazio a chi dice che di tempo e spazio non ho dato mai ..."
Laura stava proprio pensando di meritare un po' di tempo e spazio in più, quando la voce di Luigi riprese a tuonare, questa volta molto più da vicino, spaventandola anche un po'.
<QUALE GIACCA DEVE INDOSSARE DAVIDE?>
Meno male che c'era Davide, unica persona della famiglia in grado di far sorridere Luigi: i suoi meravigliosi sei anni avevano tutta la spavalderia ed il coraggio di chi gioca a fare l'ometto consapevole del proprio ruolo di "rasserenatore".
Irene, invece, Laura l'aveva voluta fortemente, ma Luigi ne avrebbe fatto volentieri a meno ... aveva assecondato il desiderio di sua moglie, credendo che poi, una volta arrivato, questo secondo figlio sarebbe stato facile ignorarlo e fare finta di niente.
Il destino, però, l'aveva sfidato facendo nascere Irene, i suoi stessi lineamenti, una bambina allegra, intelligente, sensibile, al punto da capire subito che avrebbe dovuto faticare non poco per conquistare quell'uomo a cui tanto somigliava, ma che spesso sembrava detestarla.
A questo pensava Laura mentre rispondeva tristemente alla domanda di suo marito <quella di jeans, è nel guardaroba dell'ingresso ...>.
Pensava che forse avrebbe pagato per sempre l'errore di aver "persuaso" Luigi sulla necessità di fare un secondo figlio, perché avrebbe fatto bene a Davide avere un fratello o una sorella, perché avrebbe avuto qualcuno con cui essere complice nelle battaglie contro i genitori, perché loro stessi, da genitori, avrebbero distribuito le loro paure, non avrebbero rischiato di "soffocare" Davide con i loro timori, le loro ansie ...
"Ci sono tanti figli unici felici" aveva sempre ribattuto Luigi ... "Ci sono anche tante donne che soffrono per degli uomini egoisti" pensava Laura. Uscita dal bagno, con la piccola Irene mezza nuda tra le braccia, Laura aveva bisbigliato sbuffando: "La mattina mi stanco troppo, sudo tanto nonostante non faccia caldo ...", Luigi non le aveva neanche permesso di terminare quel suo piccolo sfogo, l'aveva guardata quasi con aria di sufficienza ed era uscito con Davide per accompagnarlo a scuola. "Ecco qua, mi ha inflitto l'ennesima pugnalata, l'ennesimo colpo al cuore, l’ennesima crepa sulla roccaforte della nostra unione, un’unione che sembrava perfetta. Cosa ci è successo?" I pensieri di Laura erano tristi e non le davano la forza di sorridere ad Irene che invece di sorrisi ne dispensava tanti, soprattutto alla sua mamma.
Si erano sposati sette anni prima Luigi e Laura, erano convinti che sarebbero stati in grado di affrontare ogni avversità nella vita, che erano tra i pochi, pochissimi, a poter dire di aver trovato l'anima gemella, che non si erano sposati perché le circostanze della vita gliel'avevano imposto, perché erano in età da matrimonio, o perché sarebbe stato un passaggio naturale nella loro vita e tutti i retaggi che ci portano a fare scelte sbagliate. Laura era convinta che con Luigi sarebbe stata felice, che la sensibilità che in tante occasioni le aveva dimostrato, che l'amore che più volte le diceva di provare, avrebbero reso la loro unione indissolubile.
E invece la vita ti sorprende sempre, tutto ad un tratto ti vedi uguale agli altri, non sei più forte, imbattibile, sei una persona come tante, una fragile donna che ha solo voglia di essere amata e coccolata, che vorrebbe essere una madre perfetta per i suoi figli, un'amante ed un'amica insostituibile per il proprio uomo. 
Ogni mattina alle otto Luigi usciva di casa assieme a Davide per accompagnarlo a scuola, lasciando Laura ed Irene nel caos più totale, che di lì a poco avrebbero anch'esse abbandonato per raggiungere le loro abituali destinazioni: Irene al nido e Laura in ufficio.
Laura, sempre di corsa, s’infilava in auto assieme alla piccola Irene e, dopo aver affidato al nido quel meraviglioso fagotto, si dirigeva presso la sede di lavoro con l’ansia di non riuscire a timbrare il cartellino in orario.
Dopo la nascita di Irene era sempre più difficile arrivare in ufficio in orario, anche se si anticipava, accadeva sempre qualcosa che le avrebbe fatto perdere il vantaggio: Irene che aveva voglia di fare cacca all’ultimo minuto, il telefonino dimenticato, le chiavi dell’auto e tante altre piccole stupidaggini che in certi periodi della vita si presentano con una certa frequenza.

<Buongiorno a tutti!> Urlò Laura appena entrata in ufficio, sperando invano che qualcuno le rispondesse ... erano tutti lì i suoi colleghi, ognuno intento nella propria attività lavorativa o di evasione, ciascuno assorto nei suoi pensieri. Pochi rispondevano al saluto, quei pochi a cui Laura riservava un saluto personale, diretto, quei pochi che ancora non le sembravano appiattiti e omologati.
Eppure quella mattina Laura sembrò quasi sorpresa da tanta apatia, oramai cominciava ad essere stufa della tristezza, voleva ridere, voleva essere Laura e basta, senza vincoli sentimentali ed istituzionali, senza pesi, senza responsabilità.
Con il sorriso appena accennato, Bruno le rispondeva, contento di vederla anche quella mattina. A dire il vero, non era l'unico ad essere contento di vederla, perché Laura era simpatica, era solare. Con lei si poteva parlare di tutto, sapeva ascoltare, non giudicava mai. Le giornate lavorative andavano avanti lentamente, tutte uguali. Dopo otto ore, Laura lasciava l’ufficio per rientrare a casa dove avrebbe trovato i suoi due angioletti assieme alla tata. Stremata, alle 9 di sera, dopo aver fatto cenare i bambini, preparato la cena per Luigi, ingurgitato pane e formaggio o pane e salame, o qualcos'altro di commestibile, con grande velocità, Laura si stendeva nel suo letto, tra Davide ed Irene, li abbracciava e dopo cinque minuti si addormentava. Luigi rientrava sempre tardi, quando Laura già dormiva tenendo stretti a sé i suoi bambini, anch'essi addormentati. Alla fine la vita che facevano non era proprio quella che immaginavano, non era quella che avrebbero voluto. A questo pensava Luigi osservando i suoi tre amori. Cosa stava succedendo? Dove era la donna di cui si era innamorato? Perché sembrava che di lui non si curasse più? Andava a dormire un po' stanco, un po' malinconico. Anche Laura sentiva che il suo uomo si stava allontanando ogni giorno un po' di più e non sapeva cosa avrebbe potuto fare per farlo riavvicinare. Ripensava a tutte le volte in cui le aveva detto che era una donna bellissima ed intelligentissima, che con lei era rinato, a tutte le volte in cui l'aveva guardata con gli occhi dell'amore, e più la guardava e più lei se ne innamorava. Da quanto non la guardava così? Cosa avrebbe potuto fare per arrestare quel lento, maledettissimo, degenerare del loro rapporto? Le notti erano diventate sempre più lunghe: Laura si svegliava verso le tre e non  riusciva più a riaddormentarsi, si sentiva triste. Quando finalmente s'era fatta mattina, si tornava in trincea e non c'era più tempo per pensare. Laura non voleva trascorrere i suoi giorni nell'apatia di una quotidianità troppo scontata, Laura era una donna passionale e non poteva sopportare tutto questo, avrebbe riconquistato il suo uomo. Quella sera, dopo aver messo a letto i bambini, si era rialzata, aveva indossato la sua camicia da notte più sexy, ed aveva aspettato che Luigi rientrasse a casa. Lo aveva accolto con un sorriso ed uno sguardo malizioso, gli aveva accarezzato il volto e l'aveva aiutato a spogliarsi. Luigi era sorpreso, piacevolmente sorpreso, le aveva concesso di dirigere il gioco, le sorrideva e si lasciava andare tra le sue braccia. Irene gli si avvicinava lentamente e poi si allontanava per mostrarsi interamente a lui. Lo attirava nuovamente a sé e lo baciava, poi Luigi si era ribellato ed aveva imposto il suo gioco. Quella sera si amarono come non facevano da tempo e si addormentarono uno nelle braccia dell'altro. Aveva deciso di partire da qui Laura, dal linguaggio del corpo, e avrebbe continuato con le parole, provando a ritrovare con Luigi tutte le emozioni di una volta. Avrebbero parlato di tutto, ritrovandosi nell'analoga visione che avevano della vita, nella condivisione dei loro piccoli segreti, nella voglia di stare bene, non allo stesso modo di prima, ma con la consapevolezza che adesso avevano delle loro fragilità.  
A Laura ed a tutte le donne come lei, eroine di tutti i giorni, buona festa delle donne!                         

domenica 2 marzo 2014

91. CARA MAMMA MIA

Avrete letto un po' tutti della donna segregata in casa dalla madre per otto anni, vi sarete addolorati, indignati, forse stupiti. Io attendo di avere maggiori informazioni sull'accaduto, al momento resto molto turbata. Mi fa davvero impressione l'indifferenza della gente, è possibile che i vicini di casa, il portiere, non sapessero niente? E' possibile che non sospettassero niente? Io non lo so, non posso giudicare, né voglio farlo, a breve i commenti sull'accaduto si sprecheranno, leggeremo ed ascolteremo le sentenze dei più disparati, inadeguati, opinionisti della stampa e della televisione italiana. Piuttosto vorrei cercare di capire. Cosa può spingere una madre ad assumere un comportamento del genere, cosa può essere accaduto di così doloroso e traumatico? Del resto questa storia ci sconvolge, ci fa male, ma quanti di noi non hanno amici abbandonati dai genitori, che se la sono cavata perché erano più forti? Quanti di noi non hanno parenti con problematiche mentali? Il supporto psicologico è necessario per l'ammalato quanto per i familiari che se ne prendono cura. Prendersi cura di un ammalato è davvero difficile, richiede un impegno ed un coraggio notevole, inoltre, non esistono al momento strutture adeguate per supportate il lavoro fisico e mentale dei familiari. A modo suo, l'anziana donna stava preservando la figlia dalla derisione e dalle cattiverie del mondo esterno, commettendo essa stessa un delitto. Questa è la storia di due donne ammalate, di due vite sprecate, questa è la storia della vera solitudine. La prigione della giovane donna era in un grande condominio situato in un quartiere popoloso di Napoli, non era in uno scantinato di un villino di periferia. Non è possibile assistere impassibili ad un tale dramma. Io non lo so, ma penso che la colpa di tutto questo sia anche di chi sapeva, di chi sospettava e non agiva. Magari la madre avrebbe voluto un aiuto, un qualsiasi aiuto, magari se prima qualcuno avesse provato ad avvicinarla, o avesse trovato un qualsiasi modo per aiutarla, anche andando presso un consultorio di igiene mentale, magari non si sarebbe arrivati a tanto. Credo che la liberazione della figlia sia stata anche la liberazione della madre. Se ci fosse stata più umanità, più solidarietà da parte di tutti, se la madre non si fosse sentita sola, forse tutto questo non sarebbe accaduto. Vogliamo tutti il bello e rifiutiamo tutto ciò che non rientra nei canoni della "normalità", non ci avviciniamo alle persone "non omologate" e non diamo se non per dimostrare che siamo "buoni", solo se il gesto è pubblicizzato fingiamo di donare. Deridiamo i soggetti deboli e non proviamo a dar loro la forza per vivere. Fuori dal branco i grassi, i gay, i matti e gli sfigati, fuori! C.G. ed R.S. erano due donne maledettamente sole! Sole nel dolore, nel senso di inadeguatezza, nel loro male di vivere. Due emarginate. E la colpa è anche nostra.

sabato 1 marzo 2014

90. LA PAURA

Non era questo l'argomento che volevo trattare, ma da brava napoletana, appena mi sono accorta che questo sarebbe stato il post n. 90 del mio blog, non ho resistito, l'ho scritto, mi è venuto quasi automatico, un gesto incontrollato: "LA PAURA". Provate a dire "novanta" a Napoli, e vedete se subito dopo non c'è qualcuno che aggiunge "la paura". Un'altra parola che non si può ascoltare restando impassibili è "libertà", subito dopo viene da aggiungere "pur o pappavall l'adda pruva'". E se sentiamo che qualcuno ha fatto qualcosa di strano? Se una persona insospettabile ha commesso qualche stramberia? Trovi subito uno che commenta dicendo "a cap è 'na sfoglia e cipolla". E se provi a dire "i soldi non fanno la felicità", manco hai terminato la frase che prontamente qualcuno ti redarguisce "figurati la miseria". Per chi non è napoletano, non hanno molto senso queste mie citazioni, ma se sei di Napoli, stai già sorridendo e sai che non potrai non rispondere "sempre" se ascolti, anche da lontano, "forza Napoli!". Quanti detti, quante espressioni meravigliose offre il mio dialetto. Una su tutte, l'essenza della vita, il segreto di tutto è lì: 'o munn è comm to faje 'ncap". Ma sì, le cose le vediamo come vogliamo, e talvolta riusciamo a convincere anche gli altri che la nostra visione, la nostra interpretazione sia quella giusta. Di contro, invece, c'è chi si dichiara sempre sfortunato e non fa altro che dire: "facess 'na colata e ascess 'o sole", un po' lo si fa anche per non attrarre invidie e gelosie, perché si sa: l'uocchj so peggio re schioppettate! Quindi per molti è sempre meglio apparire un po' sfortunati, ma questa direi che non è proprio la mia filosofia di vita, io preferisco l'invidia alla pena. Altra espressione a me cara è: "fatt accatta' a chi nun te sap", dovrei pronunciarla decine di volte al giorno, per tutti quelli che amano mostrarsi disponibili, leali ed affettuosi con le nuove conoscenze, perché con le vecchie sono già usciti allo scoperto e non potrebbero fingere, e per quelli che su FB bacchettano tutti per errori che essi stessi per primi commettono. E se una mattina ti alzi, inciampi in una ciabatta, ti scotti con il caffè e ti viene un gran mal di testa, non puoi non esclamare: "che jurnata che è schiarata!".  Ah, che bella cosa è il mio dialetto! Ti offre lo spunto per ironizzare su ogni situazione. Alla fine, quando tutto sembra andare a rovescio (a carn a sotte e i maccarun a copp), l'unico grido è: adda veni' baffone!